GLI INTELLETTUALI CHE DICONO SCIOCCHEZZE

Non tutto può passare sotto silenzio. Le dichiarazioni di Massimo Cacciari apparse sulla “Stampa” il 15 dicembre meritano qualche considerazione. Sulla nebbia sollevata dal propagarsi del Covid-19, evidentemente, va di moda essere controcorrente. Capita che l’intellettuale non ci sta a riconoscere il vaccino come l’unico mezzo per contrastare la diffusione del virus e soprattutto per attenuarne gli effetti (Agamben, Bizzarri, Fusaro, Mattei e Meluzzi continuano a profondere sciocchezze in televisione e sui social). Cacciari, in un passo dell’articolo menzionato, afferma, da animista nel controllo delle funzioni corporee, che ci sono soggetti che dopo aver letto in gioventù filosofi come Adorno e Benjamin, “non sembrano avere altre preoccupazioni che quella di aggiungere qualche anno alla propria vita”. Una reazione perfino ovvia, è vista con acrimonia. Eppure il diritto alla salute è inalienabile e irrinunciabile, valevole erga omnes, come sancito dall’articolo 32 della Costituzione. Ho fatto studi di Giurisprudenza e non posso esimermi dal ritenere la legge un vincolo proteiforme, garantito da un’elaborata normativa e dalla prassi giuridica. Altrimenti non usciremmo dal labirinto degli atteggiamenti individuali, anarchici. Nonostante tutto, di questi tempi la scienza e il diritto, le stesse nozioni più elementari, sono spesso soppiantati da ragionamenti difformi, se non devianti. Il piacere della stravaganza è come quello per il complottismo, alimentato da una falsa coscienza: attira, intriga, seduce, specie quando un pensiero insolito viene diffuso dai media e da personaggi noti al grande pubblico. Dunque Massimo Cacciari pensa che ci stiamo preparando all’instaurazione di un regime e parla, in relazione alla pandemia, della preoccupazione di aggiungere qualche anno alla propria vita (come unico “raggelante” scopo) per chi segue il dettame governativo. In verità non è solo la paura della morte ad indurre l’uomo a sottoporsi ai tamponi molecolari e antigenici, né a prenotarsi, green pass alla mano, per il terzo vaccino. A mordere è il terrore della terapia intensiva, della sofferenza fisica e psichica in un reparto di emergenza. E’ l’incubo di finire intubati, isolati, con i tessuti polmonari incapaci di immettere una sufficiente quantità di ossigeno per respirare. E’ la psicosi dell’evoluzione della malattia nelle forme più gravi a renderci angustiati, impoveriti. Non so se Cacciari abbia mai rischiato la vita in prima persona di fronte all’imprevedibilità del male che bussa all’improvviso e a qualunque età, se sia mai entrato nel reparto oncologico di un ospedale, se abbia sopportato ore ed ore di attesa prima della somministrazione di una terapia o prima di sottoporsi ad un esame clinico, guardando in faccia qualcuno con una flebo al braccio, sbigottito, a testa bassa, che sbuffa, che piange, per poi fissare una parete scolorita, un muro bianco, tra porte che si aprono e si chiudono, che sbattono, tra medici e infermieri affaccendati. Non so se Cacciari sia mai stato spossato da un aggressore invisibile, indesiderato. Evidentemente no. Qualora gli succedesse non rimarrebbe impassibile come quando si accarezza la barba davanti al teleschermo sostenendo una narrazione alternativa. Diverrebbe vulnerabile, più razionale e meno immaginifico, più accorto e meno disinvolto. Soprattutto meno scettico. La poetessa e scrittrice austriaca Ingeborg Bachmann scriveva sottolineando la precarietà indomabile che ci circonda: “Il male, non gli errori, durano, / ciò che si può scusare è scusato da tempo, / anche i tagli del coltello sono guariti così, / solo il taglio fatto dal male non guarisce, / si apre di notte, ogni notte” (da Poesie, Guarda 2006). Le ombre di carta hanno un fascino sinistro, per qualcuno irresistibile. Come tutto ciò che non si vede ad occhio nudo nell’universo dei misteri e come tutto ciò che, nel dibattito odierno, diventa una filosofia speculativa, un controcanto. Allora, davvero, la simbolica lacerazione provocata dal taglio del coltello non si rimarginerà. La scienza, sulla pandemia, non oscura le minoranze, ma zittisce chi si sente portatore di una verità senza fondamento. E a volte la retorica imposta da un regolamento è il bene della democrazia, non il nocumento della discriminazione.

Alessandro Moscè

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