LO SCIAMANO MARIO GIACOMELLI

Il senigalliese Mario Giacomelli (1925-2000) è stato un inventore della fotografia, non un esecutore sic et sempliciter. L’immagine viene ri-creata sulla base del soggetto scelto, ma anche nel movimento che circumnaviga nella ripresa della macchina Kobell. Al punto che spesso sembra di trovarsi di fronte ad un’opera di altra fattura: una matita e china o un’incisione su carta, un dipinto in bianco e nero su una sottile tela. Il fotogramma può apparire perfino rielaborato da una tecnica artificiale, come i corruschi paesaggi marchigiani o i primi piani di uomini e donne anonimi, quasi provenissero da un universo arcaico, lunare. L’elaborato va guardato attentamente, perché i dettagli ne restituiscono un significante, un elemento adduttivo (vertiginoso) che non rimane in superficie. Il terzo occhio di Giacomelli scava in profondità dando vita ad una dimensione solo in parte visibile, ad una prospettiva tridimensionale, obliqua, pertanto visionaria. E’ in un aforisma che Giacomelli svela la matrice della sua arte: “Lo sfocato, il mosso, la grana, il bianco mangiato, il nero chiuso sono come l’esplosione del pensiero che dà durata all’immagine, perché si spiritualizzi in armonia con la realtà per documentare il dramma della vita”. Un linguaggio tanto atipico quanto inedito, sperimentale, che ancora oggi visualizza un insieme simbolico e solenne del bianco e nero (che non contrastano), un divenire filmico di storie mai del tutto compiute. Giacomelli, da abile raccontatore, ha detto che si trovava ad essere lui stesso spettatore della produzione della carta sensibile, capace di accantonare spazio e tempo deprivati di una toponomastica, perché la scenografia rivive in chiave del tutto soggettiva, in un continuum sia formale che informale, ogni volta ridefinito. Sono evidenti le stesse assonanze con la poesia, con un mondo che parla, che respira, che ha una coscienza espressiva e un’interiorità lirica (Leopardi, Montale, Dickinson, Corazzini, Luzi). La celebre serie “Pretini” è stata ribattezzata con un verso di David Maria Turoldo: “Io non ho mani che mi accarezzino il viso”.
Tutto ciò è apprezzabile nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita del grande senigalliese, che con il contributo dell’archivio dedicato all’artista, ha inaugurato la bellissima mostra “La Camera Oscura di Giacomelli”. L’esposizione, ospitata dal 13 dicembre 2024 al 6 aprile 2025 nello storico Palazzo del Duca di Senigallia, offre un’immersione nell’immaginario e nella tecnica di colui che è stato tra i maggiori fotografi italiani di tutto il secolo scorso. Nel percorso il visitatore è guidato dalla stessa voce di Giacomelli tratta da un’intervista per “Radio3 Suite” (“Sotto la pelle del reale”). Nella camera oscura il sogno, l’introspezione, l’inconscio, la metamorfosi e la magia accumulano una tensione che offre metaforicamente le chiavi dell’infinito uscendo dal rumore del presente. Tanto che si è parlato di realismo magico ed espressionismo materico, nonché della fotografia di uno sciamano che comunica l’invisibile, come connotato distintivo sia di alcuni tra i più importanti progetti che, in definitiva, dell’opera omnia. Ricordiamo che nel 1964 Mario Giacomelli fu l’unico italiano selezionato per “The photographer’s eye”, la mostra curata da John Szarkowski per il Moma di New York. Nel 1965 inviò l’intera serie “A Silvia” alla prestigiosa George Eastman House di Rochester, dove espose in una personale antologica presentata in varie città degli Stati Uniti. Per il centenario della nascita sono attese due mostre: a Roma (Palazzo delle Esposizioni dal 17 aprile al 1° settembre 2025) e a Milano (Palazzo Reale dal 24 maggio al 21 settembre 2025).

Alessandro Moscè

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