La poesia è suono e ritmo che rimangono dentro, che si accendono nella lettura e nell’ascolto. Il suono e il ritmo ci sono o non ci sono. Si avvertono o sfuggono del tutto. Ed è indubbiamente un elemento creante per il poeta, al di là delle tematiche predilette e dell’uso del suo specifico linguaggio. Ho pensato questo leggendo attentamente la nuova silloge di Riccardo Canaletti, Verso la foce, pubblicata da Interno Libri, una casa editrice che sa valorizzare anche gli autori più giovani, in un panorama globale, come lo abbiamo spesso definito, frastagliato e disperso. Colpisce, di Canaletti, la sua giovane età (è nato nel 1998) e la maturità nell’assemblaggio dell’andamento lirico e delle assonanze di parole simbolo, di aggettivi ed espressioni che stanno insieme in un equilibrio non comune. Nella prefazione Nicola Bultrini, che ha seguito sin dall’inizio l’evoluzione della poesia del giovane marchigiano, sottolinea: “Si percepisce uno scarto deciso, come a voler mediare l’osservazione cristallina del mondo con i sentimenti che suscita e quindi con l’intendere le cose della vita. Il libro è diviso in tre sezioni, omogenee nella lingua, seppure chiaramente distinte”. Ecco un esempio di testo compiuto, sicuramente d’impatto: “Ma il vero mistero sono gli uomini / al di sopra della terra / quegli che agli occhi / dei fiori sono fiori al contrario. // Lo vedi, padre? / Uno fuma dai monti / mentre saliamo”. Se nella prima parte viene descritto un dramma familiare, intimo (la malattia del nonno che soffre del morbo di Alzheimer), nella seconda sezione Canaletti si sofferma sul senso del passato rivisitato attraverso le case, mentre nel terzo blocco è alla ricerca di un accordo tra il sentimento, il dominio del cuore, e un interlocutore (specialmente la figura femminile). Verso la foce è il titolo di una narrazione di Gianni Celati, che immagino del tutto casualmente abbia un punto in comune con il libro di Canaletti: la descrizione di scorci di luce nella vita consuetudinaria. In effetti l’osservazione è una radice, una spinta solidale, la manifestazione fulminea di figure umane e di oggetti: “Le ruote della mia auto / riposano nelle buche / i rumori si acquietano. // Ma all’orecchio che ospita i gesti / e il tuo gioco / non può che arrivare saperti / lo spazio intero / in cui ha foce la vita”. Riccardo Canaletti sceglie un verso breve, concentrato, dove il ritmo di cui dicevamo, si muove all’interno del suo mondo, quasi lo riaffermasse più volte. Le metafore, le analogie e i termini di paragone catalizzano passaggi e acutezza di sguardo, la pienezza e la perdita dell’esistenza lungo il mare dei limiti, parafrasando un verso: “Un pupazzo di legno / tenuto eretto / dalla gru di metallo / imita il dolore della schiena / di sua moglie / colori sbiaditi / lo investono a tratti / le macchie sulla schiena”. Dice giustamente Bultrini che questa poesia non presenta accenni di ideologia. Tutto si muove per legge naturale nella forza evocativa, in luoghi di confine tra età e generazioni, in una verità mai facile, mai scontata. La memoria è un altro collante di Verso la foce, con il suo riverbero sul presente mobile, incerto: “E’ come nascere / rivivere l’infanzia / in un campo d’oratorio / la merenda, la scarna / preghiera e il rapido / tornare a rete”.
Alessandro Moscè