Il caso mediatico più clamoroso degli ultimi anni è avvenuto a Brembate di Sopra, vicino Bergamo, un comune di appena ottomila abitanti. Qui un aeromodellista rinviene casualmente il corpo di una ragazzina che giace in un campo incolto, in un’area disseminata di magazzini industriali, rifiuti impigliati nei rovi e asfalti consunti. Un paese improvvisamente sommerso da acque scure, ci dice lo scrittore milanese Giuseppe Genna: Yara. Il true crime (Bompiani, 2023) è il suo ultimo romanzo dallo stile strettamente cronachistico. Yara Gambirasio, tredicenne, scompare di casa il 26 novembre 2010 e viene trovata esanime il 14 febbraio 2011. Il processo si conclude con tre gradi di giudizio e la condanna all’ergastolo di Massimo Giuseppe Bossetti, originario di Mapello. Scrive Genna: “Le ipotesi si biforcano, come particelle che ruotano intorno al nucleo investigativo, roteano imprecise e malsicure le persone, la memoria, le testimonianze, le posizioni e le videocamere. Cerchiamo di vedere tutto”. Il romanzo è un documentario, un reportage narrato al quale viene aggiunto l’elemento intimista e visionario di chi seguendo il caso, mese dopo mese, accresce un’impressione atterrita: l’io narrante rimane accecato in un abisso tanto reale quanto immaginifico. Genna si distingue per una scrittura non fiction che attinge a piene mani da una storia accaduta con protagonisti veramente esistiti, muovendo uno scenario che coinvolge l’Italia intera. E’ la tecnologia a prevalere per cercare risposte al “tempo nuovo” compresso tra account, mail, dati di navigazione, codici dei provider, messaggi su piattaforme, gestori telefonici. Di contro le fantasie e i sospetti della gente. Yara è la figlia di tutti, una ginnasta ritmica con l’apparecchio ortodontico e il giubbino Hello Kitty, sparita dopo essere uscita dalla palestra dove si allena tutti i giorni. Viene ingiustamente incriminato un marocchino che lavora nel cantiere edile di Mapello a seguito di una traduzione sbagliata. Le forze in campo sono impressionanti, come le segnalazioni dei medium, ma non risultano elementi utili dove indirizzare le indagini. Da un mese all’altro vengono trovati due cadaveri, ma non si tratta di Yara. Giuseppe Genna parla delle trasmissioni televisive che si occupano delle scomparse come di una sostanza stupefacente, “una droga migliore della realtà”. “Il pubblico è sempre il livello infimo che connota il delitto. Sono tutti assetati di drammi della gelosia e di morbosi particolari”. L’isolamento di un DNA maschile sul bordo delle mutandine di Yara, il confronto del profilo genetico di Ignoto 1, il ceppo familiare. Quindi il padre di Ignoto 1, che è un figlio illegittimo. “La carezza gelida della scienza ci sfiora la guancia tiepida e ci garantisce che siamo nel giusto”, annota Genna. Tre milioni di euro spesi per l’indagine e 25.700 persone sottoposte al test del DNA. Viene scovata la madre di Ignoto 1 e si risale all’assassino, finalmente arrestato. Fa il muratore, ha gli occhi azzurri, la carnagione rossastra e l’abbronzatura da lampada agli ultravioletti. Ma non è finita qui. Il territorio bergamasco, nel 2020, torna alla ribalta per la pandemia da Coronavirus e per i molteplici cadaveri trasportati dai camion dell’esercito. “Qui pulsa l’organo cardiaco dell’Italia lesionata”. Un’Italia sotto i riflettori, un’Italia ridotta a morte. Un’Italia provinciale, sovraesposta nella tragedia collettiva dove hanno prevalso il male e la capacità di sopportazione. Genna ha dichiarato, da tragediografo, che nel libro non sono riportati i nudi fatti, ma l’ambiguità in cui i fatti emergono. Uno scrittore, del resto, non può fare altrimenti. Attingere dalla cronaca è un modo nuovo di narrare. Ci piace perché sfugge agli stereotipi del marketing e al romanzo occasionale. Affronta la ricostruzione storica con una lingua non disossata, corrosiva, che trafigge.
Alessandro Moscè