La guerra in Medio Oriente ci dimostra come la religione, o meglio il fanatismo religioso scorporato dalla dimensione spirituale, cagioni tensioni e scontri in campo aperto, provocando morti e distruzioni anche tra i civili. La morte e il sacrificio umano, per i musulmani e in particolare per i miliziani, hanno un significato molto diverso rispetto all’Occidente cristiano. Il Corano, in più punti, dichiara che ogni anima gusterà la morte, intesa come il termine dell’esperienza terrena concessa da Dio all’uomo: “Egli è Colui che vi ha creato d’argilla e vi ha decretato un termine, un termine designato che sta presso di Lui”. La morte è insita nell’uomo e nell’islamismo fa meno paura. La religione cristiana è vissuta nella percezione terrena e molto meno come concetto assoluto, divino. L’anima è qualcosa di sfuggente, di nebuloso, così come l’aldilà, rappresentazione figurativa in un immaginario riservato soprattutto all’arte. Viaggiare verso l’eterno, passare da questa all’altra vita, per i cristiani, è un confronto che si tende sempre a rimandare. Fanno specie, al riguardo, le parole di Papa Francesco nella meditazione pubblicata su “L’Osservatore Romano” del 18 novembre 2017, dal titolo Pensare la morte. “Noi siamo abituati alla normalità della vita e pensiamo che sarà sempre così. Però la Chiesa ci dice fermati, non sempre sarà così, un giorno non sarà così, un giorno tu sarai tolto e quello che è accanto a te sarà lasciato. Questo vivere la normalità della vita come fosse una cosa eterna si vede anche nelle veglie, nelle cerimonie, nelle onorificenze funebri. Le persone coinvolte con la persona morta, per la quale preghiamo, sono poche”. La riflessione ci sembra pertinente al presente che è sempre più separato dal passato e dal futuro. Edonismo e capitalismo, nell’Occidente, hanno prodotto il culto dell’adesso svilendo il “momento trascendente”, quasi fosse un brutto incontro. La bellezza dell’incontro è un vedersi, una conviviale, mai una fine. Ecco che se per noi la decapitazione di quaranta bambini da parte dei guerriglieri di Hamas innesca un sentimento di orrore inconcepibile, per i terroristi palestinesi rientra nell’eventualità. Non scatena ribrezzo, né ripugnanza. Nascere profugo tra le macerie espone alla battaglia cruenta, alla vicinanza con la morte. Nella Striscia di Gaza gli stessi insediamenti abitativi sono precari. Per capire l’Oriente bisogna considerare la morte come una possibilità, non come un inconveniente. Ha ragione il Papa quando richiama l’attenzione sulla sapienza della vecchiaia, sul luogo della gestazione che illumina la vita dell’intera comunità. L’Occidente tutto, nell’epoca agonica del post capitalismo, deve mitigare il continuo presente (nunc stans) riappropriandosi del tempo e dello spazio della memoria, della storia. Se l’Oriente è nel caos, l’Occidente si lecca le ferite. Se nell’Oriente sono le comunità che cedono di fronte alla violenza armata, da noi sono le persone a perdersi. Il senso religioso (spirituale, ideale) può avere un ruolo centrale nel nuovo cambiamento all’insegna della solidarietà e del bene comune contro gli squilibri economici di una società multietnica, non dialogante. Rinnegando, ovviamente, ogni brutalità e persecuzione.
Alessandro Moscè