JULIA ITUMA: LA DISPERAZIONE DI UN’ATLETA

Colpisce la morte della giovane pallavolista, la 18enne Julia Ituma, nata a Milano e di origini nigeriane, che è stata trovata senza vita a Istanbul, in Turchia. La ragazza sarebbe precipitata dalla finestra dell’albergo, di fatto suicidandosi, poche ore dopo una partita disputata con la sua squadra, la Igor Novara. Dalle telecamere dello stabile, al sesto piano, sono state estrapolate alcune immagini notturne. La ragazza sotto una fioca luce artificiale, esprime, in un’opacità che ricorda le diapositive di una volta, dolcezza e disperazione, senso di estraneità e bellezza, chiusa nelle sue braccia, nelle lunghe gambe sotto i pantaloncini, sollevate come in un film d’amore finito male. Quelle immagini riflettono nascostamente il senso di disagio non solo dell’atleta. Lo spaesamento può riguardare chiunque, anche una giocatrice di volley appena maggiorenne, che ha successo, che è già nel giro della nazionale. Alta 1.92, forse eccessivamente prorompente. Fragile, ansiosa, impenetrabile, che sorrideva con gli occhi, hanno detto. La campionessa che non c’è più mi fa tornare alla mente due versi di una straordinaria poesia di Alfonso Gatto dedicata al padre: “e gli occhi aperti di sorriso, neri / neri come le rondini del mare” (da Tutte le poesie, Oscar Mondadori 2005). E’ bastata una telefonata, una parola sbagliata, un gesto di rabbia per farla cadere in un vortice assurdo quanto incomprensibile? Esiste la bellezza della pensosità, non solo dello stereotipo della teenager in posa, della modella selezionata in un casting, che ride e si esibisce. Il pianerottolo dell’albergo con il passeggio dondolante di Julia Ituma e il suo sedersi raccogliendosi su sé stessa, ci invia un turbamento non armonico, ma ugualmente affascinante nella solitudine ricercata. Nessuno poteva prevedere che avrebbe anticipato la morte, la fine di tutto. La visibilità mediatica può essere un inganno e l’aspetto esteriore non garantisce mai fortuna, neppure a chi se ne serve per emergere ai massimi livelli nello sport. Con la morte di Julia Ituma viene meno la giovinezza, la curiosità, il senso di ribellione: tutta quella costellazione di impulsi giovanili che esprimono la spensieratezza di chi sta scoprendo il mondo. La vita interiore della ragazza è volata via, contravvenendo alla logica, con un disagio taciuto a chiunque. La solitudine in quell’albergo, rivedendo il filmato, reclama uno spazio di ascolto, di accoglimento, un tenero abbraccio che non c’è stato. Il malessere immediato si è trasformato in un drago, in un malefico portatore di fuoco distruttivo. La giovane ha considerato la sua nube oscura assoluta, senza possibilità di scacciarla. Nella chat di gruppo della squadra avrebbe scritto: “Sto poco bene, addio”. Hermann Hesse sosteneva: “Incominciai a capire che i dolori, le delusioni e la malinconia non sono fatti per renderci scontenti e toglierci valore e dignità, ma per maturarci”. Stavolta è andata diversamente. Dovremmo fare i conti con una gioventù sempre meno trasparente e libera, sempre meno fiduciosa e reattiva, che parla meno di un tempo e si confronta ben poco. Sono questi i prodomi di un nuovo nichilismo che lascia svuotati e irresponsabili, privi di motivazioni e che spesso inducono alle dipendenze da droghe, alcool, gioco, cibo, internet, videogames. Come fermare questo dolore invisibile, questo scoramento subdolo che attanaglia fino al punto di strappare anche gli ideali?

Alessandro Moscè

 

Tags from the story
,
0 replies on “JULIA ITUMA: LA DISPERAZIONE DI UN’ATLETA”