LA VERITA’ VIVENTE DI JOSEPH RATZINGER

La morte di Joseph Ratzinger offre l’occasione per rimarcare i valori del Cristianesimo. Il Papa emerito ha avuto un assillo nella sua austerità e dolcezza, aspetti caratteriali molto marcati: conciliare il mondo della fede (la grazia dell’essere cristiano) con quello della scienza, superando l’ermeneutica individuale per cui ogni verità sarebbe soggettiva, autonoma. Dunque includeva non solo il culto cattolico, ma anche il metodo scientifico, per non parlare del liberismo e dei totalitarismi. La “verità vivente”, la definiva il Papa tedesco, pellegrino e umile lavoratore nella vigna del Signore, come disse il giorno della sua elezione. Benedetto XVI è stato un teologo, prima che un Papa, con uno sguardo rivolto alla storia, alla tradizione cattolica e alla natura della Chiesa. Un conservatore che si è espresso con un linguaggio facilmente accessibile dalla massa (del resto amava la devozione popolare), nonostante l’insegnamento della teologia nelle università e una predisposizione alla spiritualità forse più forte rispetto a Karol Wojtyla e a Jorge Mario Bergoglio. Dalla sua Baviera, dopo alcuni anni di insegnamento nella facoltà ecclesiastica di Frisinga, Ratzinger arrivò all’università di Stato nel 1959. La sua prima lezione fu: “Il Dio della fede e il Dio dei filosofi”. Se i filosofi vogliono capire il mondo, i teologici cercano Dio e la sua testimonianza. E’ verso l’origine del mondo che i filosofi e i teologici si rivolgono costantemente. Ma lo stesso principio vale anche per gli scienziati, e Ratzinger lo faceva notare. Da Munster, a Tubinga, a Ratisbona. Nella cattedra ha espresso la convinzione dell’intelligenza della fede, della razionalità della fede. Solo la scienza atea era vista come una pesante minaccia. Scrisse: “La fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità, ma dalla sua fondamentale affermazione e dalla sua inscrizione in una ragionevolezza più grande”. Rimanere saldi nella fede è l’invito, l’esortazione del testamento dal quale emerge la dolcezza nascosta che questo Papa viveva al di fuori dell’immagine pubblica, con i suoi più stretti collaboratori, con chi non c’era più, le persone alle quali era legato nel ricordo. Ratzinger ha parlato spesso della coscienza, che oggi appare più indeterminata di ieri, irriconoscibile. E anche in questo caso il richiamo è alla rinuncia dell’arbitrarietà per aprire uno squarcio di luce, quel fulgore che illumina la verità. Una verità che appartiene a tutti, che non divide, ma unisce in una priorità suprema. La coscienza non è un’opinione personale, sosteneva Isaac Newton, e Ratzinger citava il fisico inglese. Infine le sfide epocali con l’età contemporanea, con il contingente, con tutto ciò che è accidentale, come il dialogo con le altre religioni, nel contesto della secolarizzazione e del trasformarsi della visione dell’uomo nel terzo millennio. Benedetto XVI ha dimostrato di essere tutt’altro che inflessibile, proprio per la volontà di collaborazione nella ricerca inesausta della verità, che non poteva prescindere dal nascondimento delle altre dottrine, delle discipline, delle istituzioni, dei conflitti sociali, nella prevenzione e nella cura del male. Appunto, prevenzione e cura del male, come ha riferito padre Federico Lombardo su “L’Osservatore Romano”. Joseph Ratzinger annunciava una certezza, poco prima di lasciare la vita terrena, un segno umanistico e divino: “Non sarà il male ad avere l’ultima parola”.

Alessandro Moscè

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