L’INUTILE ESAME DI STATO

Maturità 2022: oggi la prima prova. Del mio esame di Stato ricordo ben poco, eppure c’è chi lo sogna dopo trent’anni. Era il 1988 e la Lazio tornava in serie A. Le amiche di scuola vestivano leggere, con lembi di pelle bianca che uscivano da sotto le magliette, tra le braccia e la schiena. Seduto in ultima fila svolsi in fretta il tema d’attualità. Il titolo era lunghissimo: andava ridotto di almeno la metà. Non ho alcuna memoria dell’argomento, se non che ad un certo punto scrissi che esiste anche l’inquinamento acustico e non solo quello dell’aria. Mi viene in mente che il commissario esterno, un veneziano spocchioso, corteggiava la bella insegnante di francese, Nicole, che si muoveva tra i banchi con passo di danza. Un calabrese, altro componente esterno della commissione, corteggiava l’insegnante d’inglese. Le due donne me lo dissero ridacchiando nella sala insegnanti dopo aver sostenuto l’orale e prima dei saluti finali. Insomma, l’esame di Stato era diventato l’occasione per una trasferta in cerca di avventure erotiche: già questo andazzo ne sconfessava il peso. Ero il più bravo della classe in italiano scritto, ma il veneziano disse che avevo composto un tema scialbo, senza infamia e senza lode. Mi sarei iscritto a Giurisprudenza e di nuovo il veneziano aggiunse che “gli avvocati parlano, parlano, ma non dicono niente”. Quelle parole non mi toccarono. Feci una bella figura all’interrogazione di filosofia. “I cani sognano?”, mi chiesero. “Sognano”, risposi. La risposta era esatta, l’ultima. Mi alzai e trascinai il banco perché lo zaino era rimasto impigliato ad una delle quattro gambe. “Vuoi rubare un tavolo per la cucina?”, mi provocò il veneziano. Sorrisi indifferente. La priorità era acquistare “Il Corriere dello Sport” per leggere come si sarebbe mossa la Lazio sul mercato, se avrebbe acquistato tre stranieri e se mister Eugenio Fascetti sarebbe stato confermato sulla panchina. Del resto Arthur Bloch ha affermato che le principali manifestazioni sportive si svolgono durante gli esami. Dicemmo tutti che fu una cazzata. Per dire cosa, in fondo? Che l’esame di Stato non fu facile, né difficile, ma inutile. Quale traguardo? Il superamento, il voto? Cazzate. Non serviva, come la traccia della prova scritta, irragionevole, evasiva al punto da meritare una barra dalla prima all’ultima riga. Eravamo gradassi come lo erano i docenti che venivano da fuori. Sarebbe stato meglio l’esame condotto dai nostri insegnanti, tutt’al più. Eppure del liceo mi rimase per anni una nostalgia pressante. Era finita l’adolescenza per me che volevo restare dentro quello stabile massiccio ed elegante dove frequentai anche le elementari. La prima percezione della morte l’avverti dopo l’esame di Stato. Muore con te l’età bianca, l’unica spensierata. Si impara molto dalla nostalgia: alimenta la memoria visiva, il piacere del racconto. Da adolescente senti di non essere un uomo e che puoi tutto. L’adolescenza è un volo, per cui il giudizio degli altri non conta nulla. Anche il veneziano con la faccia da scemo non mi è mai stato antipatico. Contano le intemperanze, l’intensità nel percepire l’amore. E’ stata senz’altro più educativa la gita scolastica che l’esame di Stato. Soggiornare a Parigi, lontano dalla famiglia per la prima volta. Baciare una ragazza (è lì che la campanella non smette di suonare). Vedere la Torre Eiffel che una guida affermò essere stata costruita perché oscillasse un poco, come tutte le più riuscite opere monumentali del mondo. Passeggiare a Montmartre dove soggiornarono Picasso e Modigliani, due pittori che mi piacevano. Contava sentirsi liberi, inattaccabili. Ora lo so. Solo fuori della scuola ci si orienta. Solo fuori della scuola si apprende ciò che si diventerà, ciò che rimarrà. Per capire un gesto o il mistero di un occhio, la calma del tempo o il segreto di un sasso, parafrasando Ennio Flaiano e la sua Lettera dell’analfabeta.

Alessandro Moscè

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