L’INVERNO NUCLEARE DI ALBERTO MORAVIA

Alberto Moravia fu profetico come Pier Paolo Pasolini, ma se ne accorsero in pochi. Non viene rimarcata abbastanza la sua preoccupazione per ciò che abbiamo ottenuto con lo sviluppo mai coinciso con il progresso e con il miglioramento, non solo materiale, delle condizioni umane. Se Pasolini registrava il genocidio delle culture popolari e il mutamento antropologico degli italiani, Moravia parlò dell’energia atomica come di un pericolo imminente, tanto farsi eleggere al Parlamento Europeo nel 1984 come indipendente nelle liste del Pci, al fine di scongiurare l’utilizzo dell’energia liberata dalla fusione nucleare. Moravia scrisse articoli raccolti nel libro L’inverno nucleare (Bompiani, 1986): l’atomo non era visto come fonte pacifica di energia, ma allora nessuno parlava di tutela dell’ambiente e di salvaguardia dalla minaccia ecologica, che oggi, invece, appaiono tematiche che l’Europa tutta sostiene prioritariamente. Moravia si lamentò perché non veniva ascoltato in un Parlamento mezzo vuoto dove ogni significato ideale soccombeva dinanzi alla logica del profitto. L’Olocausto radioattivo era considerato anacronistico, improbabile. Ora avvertiamo che le bombe e l’artiglieria russa potrebbero essere solo il primo passo verso l’abisso. La minaccia di Putin attiene al nucleare, alla chimica e alla termobarica, e non è stato escluso l’impiego di ordigni ad uranio. Il rischio è già concreto in quelle centrali non risparmiate dai missili del Cremlino. L’idea di ricorrere alle armi nucleari per risolvere i conflitti ideologici ed egemonici tra le nazioni mi sembra la tipica malattia mentale del momento storico che attraversiamo, come la peste e la lebbra erano le malattie tipiche del Medioevo”, osservò Moravia, che immaginava la morte dell’uomo come quella delle formiche spruzzate dall’insetticida. “Sono uno scrittore e mi è sembrato naturale servirmi della scrittura per combattere una guerra di liberazione dalla guerra”. Anche nel Diario Europeo (Bompiani 1993) Alberto Moravia torna sull’utilizzo delle armi: “La bomba, nella storia, ha una sua funzione, e ne ha un’altra se la storia è finita. Quale funzione? Ecco il punto: nella storia essa è meno pericolosa che fuori della storia. Nella storia può essere un deterrente o un’arma di ricatto: due cose di fondo rispettabili perché legate alla concezione tradizionale della guerra. Ma fuori della storia essa diventa uno strumento di follia suicida, sia che la si consideri un’arma come un’altra sia che la si ritenga l’ultima fase di un lungo processo autodistruttivo”. A distanza di quasi quarant’anni constatiamo che Moravia aveva visto lungo. Il disastro di Chernobyl fu un’avvisaglia e forse non tutti sanno che le ricerche scientifiche hanno scoperto che l’esposizione al fallout di quella centrale incrementa il rischio, tuttora esistente, di ammalarsi di tumore: la ricaduta radioattiva ha contaminato le scorte alimentari depositate sui campi e sui pascoli degli animali. Nel 2022 riviviamo come non mai l’incubo del suicidio umano causato dalla scelleratezza della guerra non convenzionale. Nel 1987 Alberto Moravia, all’Istituto italiano di cultura, parlò dell’atomo con il Premio Nobel per la Fisica Carlo Rubbia e con l’astronomo Jean-Claude Pecker. Intuì la tentazione della morte e dell’annientamento come forma apocalittica che l’Occidente mitiga con lo spirito del Cristianesimo e la promessa della resurrezione. Alluse ad una civiltà impreparata ad affrontare l’estinzione della specie umana (da non confondere con la morte dell’individuo). In quell’occasione Moravia sembrò scettico sul prevalere di una coscienza collettiva, eppure accennò all’istinto di sopravvivenza come scaturigine istintiva, primaria. Ed è su quest’ultimo aspetto che facciamo leva sperando nella buona riuscita delle trattative politiche e nella cessazione del fuoco.

Alessandro Moscè

 

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