PIER PAOLO PASOLINI: IL POETA CORRE ANCORA

Gli scrittori sono sagome, bozze di disegnatori che li ritraggono seduti, pensanti, panciuti, mentre fumano, come fa Tullio Pericoli nei suoi inimitabili quadretti. La prima cosa che mi viene in mente di Pier Paolo Pasolini, del quale ricorrono i cento anni dalla nascita, è che è sempre corsaro, all’attacco o in fuga, perché viene prima della realtà e dei sogni che riproduce nell’arte e prima del celeberrimo “io so ma non ho le prove”. Pasolini è corpo che anticipa l’anima e l’intelletto, almeno nella definizione dell’uomo che si prodiga nelle polemiche e che cade nelle contraddizioni, essendo versatile come nessuno nel “seguire tutto ciò che succede” (sono sue parole). Del resto è azione, infausta, la politica stragista di Milano, di Brescia, di Bologna, quella dei neofascisti e degli ideologici di sinistra che Pasolini giudica nel modo codificato di intervento concesso ad un poeta (poeta in ciò che fa e che dice, non solo nel genere letterario che predilige). Parlo di lui al presente, perché ha prodotto più da morto che da vivo: tutti continuano ad interrogarlo come fosse in quello studio, alla Rai, nel 1971, nel programma “Terza B, facciamo l’appello”, dove riferì ad Enzo Biagi che non poteva dire quello che pensava altrimenti sarebbe stato accusato di vilipendio. Uno scrittore che va di corsa, soprattutto quando compone la pagina tormentandola di segni, schizzi, rimandi, aggiunte. Se penso al suo antagonista Calvino, all’amico Volponi, a Moravia, a Siciliano, li vedo statici, immobili, come vedo predestinato alla stazionarietà Montale. Pasolini è corpo in quanto è atletico, agonista che si esercita nello sport e che esiste anche al di fuori della letteratura, ad esempio come giornalista investigativo che raggiunge un luogo per i suoi approfondimenti (lo ricorda Carlo Lucarelli nel supplemento “La Lettura” del “Corriere della Sera” di questa settimana). Vederlo giocare a pallone, in giacca e cravatta, in un campetto polveroso, dà la misura del suo essere lo Stukas (dagli aerei da combattimento tedeschi che vanno in picchiata), la veloce ala sinistra che scatta sulla fascia e non si ferma di fronte all’ostacolo. Lo vedo mettere una certa foga quando due troupe cinematografiche si sfidano: Novecento e Salò o le 120 giornate di Sodoma. Bernardo Bertolucci e Pier Paolo Pasolini, amici e rivali. Ma quest’ultimo gioca e dimostra una certa eleganza nel toccare il pallone, una visione e un tocco di palla non comuni. Ama il calcio, soffre per il suo Bologna. Ebbe a dire esaltando l’attività fisica: “I pomeriggi che ho passato a giocare a pallone sui prati di Caprara (giocavo anche sei-sette ore di seguito, ininterrottamente: ala destra, allora, e i miei amici, qualche anno dopo, mi avrebbero chiamato lo Stukas, ricordo dolce bieco) sono stati indubbiamente i più belli della mia vita. Mi viene quasi un nodo alla gola, se ci penso. Allora, il Bologna era il Bologna più potente della sua storia: quello di Biavati e Sansone, di Reguzzoni e Andreolo (il re del campo), di Marchesi, di Fedullo e Pagotto. Non ho mai visto niente di più bello degli scambi tra Biavati e Sansone. Che domeniche allo stadio comunale”. Pasolini non sta mai fermo come gli antieroi dei suoi film: Franco Citti, camminatore in Accattone, Totò, ciondolante, e Ninetto Davoli, effervescente, in Uccellacci uccellini. Sono frenetici nel romanzo più conosciuto, Ragazzi di vita, il riccetto, il caciotta, il lenzetta, quel sottoproletariato che vive di espedienti. E’ corpo, nel mistero, Maria Callas, nella bramosia Anna Magnani, nella sensualità Silvana Mangano. Lo sono tutte le donne che Pasolini ha diretto nei lungometraggi, per non parlare di Il fiore delle Mille e una notte, dove il corpo prorompe nella nudità maschile. Si dice di Pasolini profeta, ed è vero. Nessun intellettuale, a metà del Novecento, aveva previsto l’omologazione della società capitalistica e dei consumi e i danni prodotti all’ambiente. Pasolini scrive in uno slancio irrefrenabile, senza rallentare. E’ un bucaniere, un pirata della società occidentale a cui mancherebbe solo di indossare abiti di seta nel suo arrembaggio, come le tigri di Mompracem di Salgari nel lontano Oriente. Da Poesia in forma di rosa (Garzanti 1961): “Torno… e una sera il mondo è nuovo, / una sera in cui non accade nulla – solo, / corro in macchina – e guardo in fondo / all’azzurro le case del Prenestino – / le guardo, non me ne accorgo, e invece, / quest’immagine di case popolari / dentro l’azzurro della sera, deve / restarmi come un’immagine del mondo / (davvero chiedono gli uomini altro che vivere?)”. E infine Pasolini è corpo perché è stato assassinato e il suo cadavere massacrato brutalmente. Un corpo che abbiamo visto insanguinato, schiacciato, fratturato, sfinito in un obitorio, dopo che era stato mestamente coperto con un lenzuolo all’idroscalo di Ostia.

Alessandro Moscè

Tags from the story
,
0 replies on “PIER PAOLO PASOLINI: IL POETA CORRE ANCORA”