Nella società liquida e incerta di Zygmunt Bauman, siamo corpo e siamo voce: sempre più corpo e sempre meno voce, dominati dall’immagine televisiva, dalle pay tv, dalle piattaforme digitali e dalla rete dei social network. Se il romanzo morirà, accadrà perché non saremo più capaci di raccontare senza vedere in presa diretta, di dire privandoci della fotografia e del filmato, spettatori incandescenti con la realtà, impregnati di rappresentazioni momentanee. Finirà che non avremo più bisogno delle parole che indicano e selezionano. L’occhio che scruta corrisponde al corpo che esercita la sua attività materica. L’esistenza di un’anima, nel 2021, è qualcosa di datato, di fuori moda, perfino di indefinibile. Coscienza e morale non sono più riconosciuti come dati dell’esistenza: nel rapporto di comunicazione vengono accantonati nel momento in cui appariamo in prima persona, fugacemente, sulle applicazioni webinar, zoom, sulla camera di un tablet. Siamo un’installazione interattiva anche nel posto di lavoro, visibili online. Il corpo produce comunicazione, specie quando è ripreso da un video. L’eterno presente propone dunque un linguaggio unificante proprio con l’uso del web, dei link, di facebook, messanger, twitter, instagram. La voce è un segnale, una ricezione, nient’altro. La dualità anima/corpo è stata risolta con l’avvicendamento di tutto ciò che non è visibile. Ci sono trasmissioni televisive in cui i sentimenti vengono ridicolizzati in quanto strumenti per rifugiarsi nel sentimentalismo facile, cioè in un prodotto della finzione, come lo sono la svenevolezza e la smanceria. Il sentimentalismo fa colpo quando diviene corpo e si vede. Quando un uomo piange e si dispera, quando una donna è patetica nella sua recitazione. Penso a “C’è posta per te” e a “Uomini e donne”, i programmi televisivi di Maria De Filippi, che non a caso nascono come remake di film famosi. Il sentimento piace se uccide, se è fosco, minaccioso, violento, malato. Eppure il corpo dovrebbe essere ben altro, non solo immagine presente. Il corpo è memoria in carne ed ossa, specie nell’anzianità: il segno tangibile del tempo che passa. Nella tecno-liquidità pensiamo sempre di più ad una sopravvivenza terrena, a scansare la morte, la finitudine. I politici incarnano perfettamente il modello del corpo senza tempo. Esprimono la finzione che non ha bisogno di interiorizzare nulla, come fossero attori sul set cinematografico. Se stiamo diventando sempre più corpo, la realtà non sarà da capire, ma esclusivamente da vedere. Nella globalizzazione vivremo in un mondo impensato, privo della coscienza della memoria. Il disordine dell’umano sarà sempre più soppiantato, superficialmente, dall’esaltazione dell’oggi. E’ l’essere sagoma il motivo per cui il rapporto di uno scrittore con il mondo non può essere conciliante. Il poeta e il narratore procedono in direzione opposta al mito del presente e si dissociano dalla postmodernità del Duemila. Ma la parola, seppure labile, non può perdere il suo significato, la sua corrispondenza. Nonostante il corpo.
Alessandro Moscè