L’ORACOLARE PIER PAOLO PASOLINI SECONDO ENZO SICILIANO

Campo de’ fiori di Enzo Siciliano: è questo il libro estivo che mi è capitato tra le mani riordinando uno scaffale di casa e che ho letto per la seconda volta, sottolineandolo scrupolosamente. E’ uscito nel 2018 rieditato da Theoria, curato da Andrea Caterini. Non è un romanzo su Pier Paolo Pasolini, né sulla scuola romana, nonostante le numerose citazioni e gli aneddoti segnalati: le cene succulente a casa di Laura Betti, le accese discussioni con Alberto Moravia nei ristoranti, le dispute su che taglio dare a “Nuovi Argomenti” in un posto qualsiasi ecc. Siciliano vuole capire meglio Pasolini dopo essersene distaccato spazialmente, più che temporalmente. Non attraverso un coinvolgimento emotivo, ma dopo anni di sedimentazione per acquisire una “leggerezza pura e astratta”. Ci riesce, e sembra che a nulla valga la lettura di Petrolio, il romanzo uscito postumo nel 1992 che all’identità dello scrittore friulano non aggiunge nulla di più della foga umanitaria e del principio di morte anelato tante volte nelle liriche e nei romanzi, nelle tragedie e nel cinema. Ciò che emerge in lampi di parole, è soprattutto lo sguardo a lunga gittata di Pasolini. L’intuito che si fa profezia, l’analisi che collima con la condotta di massa, l’indifferenza che ostruisce la verità, la lingua parlata che coglie la fisicità delle cose, lo scandalo come ipostasi. Pasolini non vede mai la storia, volontariamente, ma studia il presente e lo lancia nel futuro attraverso una critica reale, disperata: la sua concretezza fa luce sui peggiori istinti del nostro paese: degrado, anarchia, sopruso. Alla storia rimossa si oppone la poesia come “transito nella quiete”, come verità insostituibile e pertanto priva di funzione e scopo. Pasolini ha nostalgia dell’Italia contadina e l’invito alla terra (da coltivare) è il mantra odierno, dopo il crollo del capitalismo e dell’industria. Negli anni Settanta nessuno avrebbe pensato che il ritorno alla campagna agricola sarebbe stato addirittura necessario, una volta chiuse le fabbriche. I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Nel 2020 il diverso impoverimento è nella disoccupazione dilagante e nella fine del proletariato che aveva acquisito, allora, una certa ansia vanitosa. Non è forse vero quello che dice Enzo Siciliano e che Pasolini aveva individuato per primo, cioè che le tradizionali istituzioni democratiche sarebbero cadute in una grave crisi? Chiese e ospedali: oggi il cerchio concentrico del male pubblico è racchiuso specie in queste due entità. E non è altrettanto vero che la progressiva perdita della memoria storica è sempre più evidente e preoccupante? Non riscontriamo un esasperato individualismo a discapito di un’identità di popolo, perché “ognuno salvi, nella maniera più rozza ed effimera, il proprio particolare?” (il riferimento era al borghese-progressista, adesso è per il cittadino senza alcuna appartenenza di classe). E se in Petrolio Pasolini scrive che “il rischio dell’impopolarità fa paura più del vecchio rischio della verità”, Siciliano trova la propria immagine di autore in parte rinvigorita. Un lettore come il sottoscritto trova invece conferma che il Pasolini civile è sempre nuovo e contrastante, anche quando lo si guarda nelle foto. Scavato, sorridente, pensoso, dai tratti orientali e dal vestiario occidentale. Comunista senza tessera con l’Alfa e l’anello al dito, dalla parte del sottoproletariato urbano che voleva simbolicamente riscattare a partire da quell’Alfa, che piaceva ai suoi sodali senza denaro che si incantavano a guardarla. Pasolini la sua auto la offriva, come la sua inquietudine contro la società iperconsumata. Corsaro e luterano, oracolare e divinatorio. Il cartomante marginale degli anni Sessanta e Settanta che assomiglia al saggio ebraico, a Giovanni Battista che nel Vangelo si definisce “uno che grida” (non un “oppositore istituito”, che è parte del potere). Pasolini ha risonanza ancora oggi perché possedeva un fiuto eccezionale, un’esigenza morale più alta degli altri, missionaria, senza scadenza. Il suo presente è un futuro testimoniale che vale sempre, mentre Moravia il presente lo legava al racconto contemplativo di ciò che vedeva ad occhio nudo (l’Africa, l’Asia, il Sud America nella mitografia del viaggio) e al timore ossessivo per il nucleare. Ogni volta la mia convinzione su Pier Paolo Pasolini uomo rivelatorio, si accentua. Campo de’ Fiori è il tributo di un amico che non so se valutasse abbastanza l’eccezionale dote che rimanda alla dualità ragione/passione di Khalil Gibran: riposare nella ragione, muoversi nella passione. E la passione ha sempre qualcosa di irrazionale, di dissenziente. Qualcosa di disorganico per la società. L’emblema di questo impeto è ancora una volta Pier Paolo Pasolini.

Alessandro Moscè

 

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