UGO CORNIA E L’ASSURDO

Se oggi un nuovo modo di narrare sembra proficuo, il modenese Ugo Cornia è colui che forse più di altri, in Italia, ha trovato la sua versione con un catalogo di “sragionamenti”. Una narrativa fatta di strampalerie, di visionarietà, anche di assurdità, come dimostrato, tra gli altri libri, nel volume di racconti dal titolo Operette ipotetiche (Quodlibet 2010). Un padre che ritorna dall’aldilà sulla terra solo per pisciare e che incontra il figlio in bagno, è uno degli episodi più divertenti, così come la convinzione che gli oggetti svaniscano appena non li percepiamo più. “Per esempio potrebbe essere qualcuno (Dio?) quando fa sparire casa mia per un’ora, poi quando io torno a casa la rimette al suo posto, così a me sembra che casa mia esista di continuo, magari mentre io ero in centro casa mia era sparita”. Certo, far sparire Piazza Grande sarebbe molto più difficile, richiederebbe un’operazione meticolosa in quanto sulla piazza si affacciano gli esercizi commerciali aperti dalla mattina fino all’una di notte. Cornia ama formulare ipotesi sommarie come farebbe qualunque persona in uno stato vigile, privo di logica, che fantastica supposizioni campate per aria e destinate a svanire. L’uomo che guida l’io narrante nell’esplorare il mondo dalla sua stanza da letto, è bizzarro e stravagante. Tanto che dei critici, provocatoriamente, hanno parlato di malsane narrazioni, ma certamente con uno sfondo ilare, comico, ben riuscito. Cornia fa vivere i fantasmi. Sin da bambino si è sentito inquietato dai mille, piccoli rumori inspiegabili. Da qui l’idea di mettere in scena presenze enigmatiche, invisibili, strane apparizioni tutte da raccontare, da romanzare. C’è un episodio, in Operette ipotetiche, addirittura esilarante, e riguarda la chirurgia estetica. Cornia si inventa niente meno che la chirurgia trans-specifica, una tecnica che permette che una mucca, tra centocinquant’anni, si trasformi in donna, così che il contadino potrà sposare l’animale. E se una mucca si stanca di fare la mucca, all’improvviso, con un’operazione, diventa un essere umano. Se una ragazza si innamora del suo cane, può portarlo sull’altare: l’ex labrador si trasformerà in un bell’uomo. “Sì, sì, diamola la notizia, e la notizia era che Jessica era già incinta di sei mesi, e la gravidanza andava avanti in modo perfetto, perché con l’ingegneria trans-specifica si facevano queste operazioni di Dna con il salto di specie”. Ugo Cornia fotografa e reinventa persone e cose ai limiti dell’illetterato. Ma è proprio questa esclusiva capacità che dà dello scrittore un esempio di registro linguistico del tutto singolare. Lo scrittore proviene dalla lingua parlata, felicemente in grado di misurarsi con soggetti unici. Forse, prima di lui, solo Ermanno Cavazzoni ci ha fornito un esempio di stile remoto, radicale e paradossale, giocato all’interno di una costruzione sfalsata dall’impossibile che si fa ipotesi. La narrativa fantastica non è solo quella interstellare, ma può essere scritta a partire dalla ferialità dei giorni, dalle storie di una zia, del vicino di casa o del ragazzo di strada. E anche l’aldilà, allora, potrebbe essere immaginato simile alle terrestri abitudini nelle quali ci imbattiamo. Il racconto popolare assurge di continuo a metafore esistenziali sulle quali riflettere a lungo. Il fatalismo dei contadini è contraddetto da un sovrasenso insondabile e i lemuri aleggiano nell’aria. Tutto è ribaltato in questa scrittura, perfino il tempo cronologico della vita e del dopo morte. Le persone e le anime sono la stessa cosa ad ogni angolo della strada.

Alessandro Moscè

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