L’ESTETICA ATTIVA DEL SALONE DEL LIBRO

Indipendentemente dal codice etico e democratico, dalla censura dei libri e delle idee, del caso Altamura di quest’anno, prendere parte al Salone del Libro di Torino è sempre una bella esperienza. Muoversi tra gli stand degli editori, assistere alla presentazione dei libri, alle discussioni, conoscere gli autori genera un’adrenalina che solo al Lingotto si può vivere, pur nel caotico via vai delle persone che si spostano da un padiglione all’altro. Se l’Italia è una paese dove si legge poco, pochissimo, i lettori e i curiosi si riuniscono in un conclave che dura cinque giorni. Le Marche, nella XXXII° edizione del Salone del Libro erano la regione ospite con uno stand d’impatto, dove sono stati presenti personaggi di primo piano della cultura italiana: Vittorio Sgarbi, Filippo La Porta, Angelo Ferracuti, Alberto Folin, padre Alberto Maggi, Luca Mercalli, Mohamed Razane, Franco D’Intino, Stefano Petrocchi, Loredana Lipperini ecc. E’ facile riscontrare come Giacomo Leopardi, incredibilmente poco tradotto all’estero, sia invece celebrato in Italia e non solo dagli addetti ai lavori. Il bicentenario dalla stesura de L’Infinito ha contribuito molto a rinvigorire l’immagine della Marca letteraria. Da sottolineare la vivacità dell’intreccio di culture, la contaminazione dei linguaggi artistici (straordinari i pannelli di Tullio Pericoli con la conformazione delle colline della nostra terra disegnate come in una graphic novel), la felicità dell’immaginazione e della creatività, nonché la concentrazione sul presente storico e geografico, di una contemporaneità che ha sempre spazi e tempi dilatati (il grande recanatese è più attuale che mai con il suo “’infinito indefinito”). Il presidente del Salone del libro, Nicola Lagioia, scrittore di talento, porta a casa un ottimo risultato: i visitatori sono stati 148mila, 5mila in più dell’anno scorso. La punta massima è stata raggiunta sabato 11 maggio quando sono entrate 15mila persone in meno di un’ora e mezza. Il gioco del mondo, come titolava quest’anno l’evento, è un gioco di prismi: un vedere se stessi negli altri, nella parole, nello sguardo, nei volumi. In tutto ciò che Jorge Louis Borges inquadrava nell’estetica attiva, che è fatta di acustica, di elementi luminosi, di immagini verticali nella biblioteca del mondo che dal passato si allunga nel futuro e nell’estensione dell’anima che proprio Giacomo Leopardi indica con il suo capolavoro, nel pensiero e nel sogno. Al Lingotto l’idea diventa azione, vista e visione, concentrazione, interpretazione della realtà a partire dall’offerta degli stand. Qualcosa che non ha nulla a che fare con un contingente di pregiudizi, di fascismi e di antifascismi, che non solo non hanno minimamente inciso sull’esito del Salone del Libro, ma che non hanno neppure dato la possibilità, una volta per tutte, di capire quando si ravvisa il reato di apologia del fascismo contemplato dal codice penale italiano. L’Italia dei libri, però, vira da un’altra parte: costruisce la bellezza con l’affabulazione.

Alessandro Moscè

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