IL LEICESTER COME LA LAZIO DI CHINAGLIA

“Il calcio ha le sue ragioni misteriose che la ragione non conosce”, notava Osvaldo Soriano, giornalista e scrittore argentino. In Futbal. Storie di calcio (Einaudi, 1998) sono raccolti diciannove racconti su anonimi e sinistri calciatori che inseguono un pallone nelle terre della Patagonia, su allenatori giramondo, su storie d’amore e leggende fantastiche, su gioie e disperazioni agonistiche, ma soprattutto sulla malinconia degli sconfitti. Il calcio può essere raccontato e non solo nelle sfide domenicali, ma come sfide di uomini, di singole persone. Ecco l’ultima in ordine temporale, accaduta davvero. Una storia, tante storie di marginali campioni esplosi all’improvviso dal nulla. La favola del Leicester, che ha appena vinto la Premier League, assomiglia a quella della Lazio del 1974, la squadra di Giorgio Chinaglia e Pino Wilson, di Luciano Re Cecconi e dell’allenatore buono Tommaso Maestrelli. Maglia bianco-blu gli inglesi e maglia bianco-azzurra gli italiani. Leicester è il capoluogo della contea del Leicester shire, nella regione delle Midlands Orientali dell’Inghilterra. La squadra ha vinto il campionato con un giocatore che cinque anni fa militava in una combriccola di operai, con uno che viene dal campionato amatoriale francese, con un altro ancora che ha avuto problemi con la giustizia. Scartati e disadattati, vecchi, rivalutati dal mister italiano Claudio Ranieri, finora conosciuto in patria come “perdente di successo”. Un miracolo sportivo in una città che ama il rugby più del calcio. Il Leicester non ha mai vinto nulla in 131 anni di militanza. Le stelle là davanti, gli attaccanti, sono costati due milioni di euro, una miseria. Il club fattura un quarto dei colossi inglesi, fra tutti il Manchester United e il Chelsea. Le “volpi blu” di Ranieri, come vengono soprannominate, un paio di stagioni fa finirono nel mirino della dirigenza per il rischio di saltare economicamente. L’obiettivo di settembre era il raggiungimento di una salvezza tranquilla. Una compagine di scalmanati che solo Ranieri riesce a domare, non ha mollato la testa della classifica a partire dall’inizio del 2016. Come quella Lazio costata due soldi che in allenamento picchiava duro. Durante i ritiri i bad boys romani si divertivano a sparare ai lampioni degli alberghi. Si dice che i ragazzi del Leicester siano stati aiutati da una forza esoterica, la sepoltura di re Riccardo III nelle vicinanze dello stadio. Da quel momento è cambiata l’aria. Qualcuno pensa all’influsso dei monaci buddisti che vengono spesso nell’arena dove il Leicester gioca le partite e che avrebbero adottato riti propiziatori per scacciare il maligno. Gli stessi riti di padre Antonio Lisandrini della Lazio, che con una preghiera scacciava le nuvole dal cielo. Il calcio è un’epica da narrare, dove il pronostico può essere sovvertito. Il Leicester come la Lazio, un’armata brancaleone trasformata in una formazione imbattibile. Ha detto Ranieri: “Penso che la nostra vittoria sia importante per il calcio. Dà speranza a tutti i giovani giocatori che non sono considerati abbastanza bravi. Cosa serve per arrivare? Un nome? No. Un contratto? No. Serve tenere aperti cuore e mente, serve una batteria piena e correre liberi. Ora faremo due cene a base di pizza”. Tommaso Maestrelli diceva le stesse cose. Ci vuole corsa, corsa, corsa. I giocatori del Leicester si involano nel prato verde come quelli della Lazio di allora, e scappano da tutte la parti. Grinta, coraggio, sudore. Analogie con un calcio che non c’è più, dove l’allenatore era un secondo padre al quale confidare le proprie angosce. Nel calcio non mancano mai Davide e Golia perché, appunto, il pronostico possa essere sovvertito, anche se il business è ormai in mano agli sceicchi d’oltreoceano che spendono cifre folli per assicurarsi i campionissimi. Puntualizzava Gianni Brera: “Può anche succedere che una partita venga dilatata a saga, a poema epico. Non ti formalizzare. Il calcio è straordinario proprio perché non è mai fatto di sole pedate. Chi ne delira va compreso, non compatito. E va magari invidiato, non deriso”.

Alessandro Moscè

LEICESTER

 

 

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