GIAMPIERO NERI: LA POESIA E’ UNA RACCOLTA DI DATI

Se ne è andato all’età di 95 anni il poeta Giampiero Neri (pseudonimo di Giampietro Pontiggia). Nato ad Erba nel 1927, era il fratello maggiore di Giuseppe Pontiggia, il grande narratore a cui fu legato per tutta la vita da un difficile rapporto. Un uomo elegante, dotato di buon senso, comprensivo, sempre sorridente, generoso con i giovani. Giampiero Neri è soprattutto uno dei poeti contemporanei che più si è distinto per la semplicità dettagliata dei suoi sguardi sulle cose. Una poesia che lancia occhiate rapide e scientifiche, parole marginali che diventano luoghi, voci che avvolgono un amore nascosto, solo in parte raggiungibile, perché l’oggetto spesso non è scandagliato e lo sguardo si ferma all’involucro, si fa inaccessibile all’interno delle figure. L’aspetto occidentale del vestito (Guanda, Milano, 1976), libro inaugurale, rivelò un indizio che si è mantenuto costante in tutta la produzione successiva di Neri: fuoriescono dal testo contesti generici, apparizioni come in un lungo cammino a piedi per vie solitarie o poco battute. Emerge uno straniamento volto a riempire il vuoto esistenziale con osservazioni scarne, pensieri sparsi, schede di un componimento senza fine che potrebbe continuare aggiungendo tanti altri indizi in una corposa raccolta di dati (“Guardando a destra, dalla feritoia, il fiume verdissimo piegava lento a gomito e scompariva dietro gli alberi”).
Neri aggiunge raramente la riflessione all’osservazione e non tenta mai un’analisi complessa. Si mantiene dentro un lento fluire ordinario di annotazioni, in un moto tanto repentino quanto controllato. Gli episodi che lo coinvolgono si fanno lirici e narrativi nella forma, segni tangibili del tempo lacerato, quadri e icone umilmente rintracciati. E’ la riservatezza dello sguardo che rende questa poesia un raro esempio di misura, di pacifica incertezza: le domande negate affiorano nel silenzio, si sentono, ed è come se fossero pronunciate nell’abitudine invariabile a tenerle a lungo per sé prima di esternarle (“La sua voce, che ha toni acuti e bassi, si risolve in un grido prolungato e spiacevole”). Tanto volte gli ho chiesto il significato radicale del suo libro più bello, appunto L’aspetto occidentale del vestito, senza mai capire fino in fondo il senso di quella strana ideazione che però suona bene all’orecchio. Ho letto tutti i testi di Giampiero Neri e ne evinco, anche oggi, che non emerge mai un ideale, né una meta, né un progetto studiato a tavolino. Il silenzio a volte si meraviglia, poi torna sornione, faticoso, perfino intransigente, esattamente come succede ad una persona in carne ed ossa, ferma, seduta, che riposa. Un’ansia acquietata si muove ad onde, intriga nell’inesauribile essenzialità del respiro contratto, che non cade, né ascende. La poesia è invece capace di costruire un apparato scenico pudico, terreno, che si cura dei contorni con parsimonia. Cito la raccolta Dallo stesso luogo pubblicata dal piccolo editore Coliseum di Milano nel 1992 e in particolare dei versi che ho riletto spesso: “Nella sconnessione della strada / appariva il disegno / della via romana. / Dentro il lavoro degli scalpellini / si notava qualche pietra più antica. / Stava come lago in calma / segno di più remote lontananze / di non increspata superficie”.

Alessandro Moscè

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