E’ TORNATO ALBERTO BEVILACQUA

La critica italiana è asfittica, pigra, poco propensa a ricordare, a discernere, non solo a monitorare il presente. A sette anni dalla sua morte anche l’editoria, purtroppo, ha dimenticato Alberto Bevilacqua, autore che diede alle stampe autentici best seller (vinse lo Strega, il Campiello e il Bancarella), opere di pregio sia narrative che poetiche. Basterebbe citare Una città in amore (1966), Una scandalosa giovinezza (1978) e La polvere sull’erba (2000) per comporre un trittico attraverso il miracolo di una lingua romanzesca fluida e sensitiva. Ma Alberto Bevilacqua fu anche regista cinematografico del quale vanno menzionati almeno i film La Califfa (1970, con Ugo Tognazzi e Romy Schneider) e Questa specie d’amore (1972, sempre con Ugo Tognazzi e Jean Seberg) tratti solo in parte dai due splendidi romanzi.
L’ho conosciuto e frequentato a lungo e mi ha messo al corrente di episodi, di vicende rapsodiche molto singolari. Mi parlava spesso di Romy Schneider, considerata una specie di divinità che provocava soggezione nelle masse, che edificava un simulacro. Alberto Bevilacqua aveva tenuto un diario sui giorni in cui girava La Califfa. Schneider era un’attrice senza fanatismo, non del tutto consapevole della sua intensità, affranta dalla fine del rapporto d’amore con Alain Delon. Si perdeva nei greti del Po, contro i muri delle case abbattute.
La mia biografia di stampo saggistico, Alberto Bevilacqua. Materna parola (Il Rio Edizioni 2020), non vuole omaggiare l’uomo, ma riportare alla luce un’inesauribile stagione creativa che ha attraversato mezzo secolo fino ai primi scorci del terzo millennio. Alberto Bevilacqua studiò al Liceo Romagnosi di Parma e nell’università cittadina conseguì la laurea in Giurisprudenza. Al liceo Attilio Bertolucci fu insegnante di Storia dell’Arte e per primo lesse i suoi versi. Le prime poesie furono pubblicate sul “Raccoglitore”, la pagina culturale della “Gazzetta di Parma”, in cui il giovane scrittore fu redattore con Mario Colombi Guidotti (che morì tragicamente in un incidente d’auto ad appena 33 anni) e Francesco Squarcia. La vita culturale di Parma era ricca, con la presenza, tra gli altri, di Pietrino Bianchi, scrittore e critico cinematografico. Nel 1958 Bevilacqua pubblicò dei brani narrativi su “Paragone”, dove scrivevano anche Testori, Orelli e Mastrocinque (si trattava di gustosi ritratti in miniatura), e su “Botteghe Oscure” tramite l’intercessione dello stesso Bertolucci, che incontrava nella sua casa di Baccanelli, in campagna, oppure in piazza o ai tram dove lo accompagnava (Bertolucci era solito ascoltare i giovinetti che lo andavano a trovare con le loro prime poesie in mano). Bevilacqua leggeva assiduamente i poeti francesi e inglesi.
Arrivò a Roma, per la prima volta, nel 1957 e alloggiò in una pensione di via Valadier. Nel 1957 iniziò la collaborazione con “La Fiera Letteraria” diretta da Vincenzo Cardarelli, fino al 1976. Dedicò dei ritratti a Caproni, Squarcia, Fenoglio, Patti, Delfini, D’Arzo. La mattina lavorava nell’ufficio di stampa della casa di produzione cinematografica di De Laurentiis, dove dopo qualche tempo intraprese l’attività di soggettista. Nel 1960 entrò al “Messaggero” dove rimase fino al 1966 alla cronaca nera. Nello stesso anno passò al “Corriere della Sera” dove si occupò prevalentemente di critica di costume.
Il suo quartiere a Roma, dove viveva, Vigna Clara, è un piccolo paese, in cui quattro passi bastano alle cerimonie mattutine: comprare i giornali e bere il primo caffè. Dal suo appartamento gli occhi cadono a strapiombo, di sotto, e i volatili fanno sosta in uno dei punti più alti di Roma (ne scrisse in Lettera alla madre sulla felicità, romanzo del 1995). Ma in tanti anni, dalla capitale, è stato soprattutto lo scenario del fiume Po ad intensificare la sua vena, i sensi decifrabili, le domande ultime, gli aspetti relazionali con gli amici, il paesaggio, Parma intravista nelle “ore sospese a mezz’aria” e i tormentati affetti familiari (sin da L’amicizia perduta, primo libro in versi pubblicato nel 1961, a cui seguirono le bellissime raccolte L’indignazione del 1973 e La crudeltà del 1975. Di spessore non comune anche Piccole questioni di eternità del 2002 e Legame di sangue del 2003). Una poesia ingiustamente trascurata da molti critici specie accademici, che ha ottenuto il plauso di Umberto Saba, Attilio Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Salvatore Quasimodo, Aldo Palazzeschi, Carlo Salinari, Jorge Luis Borges, Eugène Ionesco, Giorgio Caproni, Walter Pedullà, Giovanni Testori, Dario Fo. Proprio la stesura dei versi è stata la prima attività creativa di Alberto Bevilacqua, a partire dai componimenti scritti per la madre da ragazzino. La sua vocazione era rivolta principalmente al ricordo, specie se intrecciava la storia personale, durante e dopo la seconda guerra mondiale, con la grande storia: l’Italia della provincia, delle famiglie, del disagio sociale, dei rapporti d’amore, ma anche delle controversie pubbliche, segnate da vicende note. Si pensi al Triangolo Rosso, alle famigerate guerriglie che nacquero dopo il 1945 e che si protrassero a lungo nel Paese, specie lungo il Delta del Po, dove ex partigiani ed ex repubblichini continuavano a spararsi a bruciapelo con odio e rancore. Fu questa storia sotterranea, accertata in prima persona durante le scorribande in bicicletta da ragazzo, che  costò la censura ad Alberto Bevilacqua fino al 2000, anno di edizione della narrazione La polvere sull’erba. Ma si pensi anche allo scontro in campo aperto nell’Oltretorrente di Parma, nel 1922, di Guido Picelli, il rivoltoso contro le squadre fasciste che furono sorprendentemente respinte. La vigoria dell’animatore della rivolta parmense contro le milizie nere, rimane tra le pagine migliori di Bevilacqua, che ne scrisse più volte (specie nel romanzo Una città in amore).
Parma è divisa in due parti separate da un torrente: la parte aristocratica, oggi dei titolari delle imprese e di capitali economici, ma in netto declino, e quella dove nacque lo scrittore, l’Oltretorrente, di estrazione anarchica. Le ragazze vestivano con i costumi che galleggiavano negli azzurri, negli ori, sulle tuniche dove era ricamato l’emblema delle Antiche Venezie. La madre di Alberto Bevilacqua era dell’Oltretorrente, come Amelia Bacchini, la nonna che la sera usciva con una gatta sottobraccio. Aveva una pietà fraterna e introdusse il nipote nel mondo della sensitività, della percezione paranormale. La madre, invece, era malata di quella nevrosi della ragione che vuole ordinare tutto: struggenti i romanzi Tu che mi ascolti (2004) e Lui che ti tradiva (2006) dedicati a Giuseppina detta Lisetta: una vera e propria ossessione, tanto da trasfigurarla in una donna sacra, simbolo insostituibile di magnanimità.
Alberto Bevilacqua è stato uno scrittore mitopoietico, esistenziale, con la vena a ricreare anche un realismo magico inteso come rivelazione e culto (non dissimile dalle intenzioni dei latinoamericani). Realismo magico che è archetipo costante sia della narrativa che della poesia, in un topos dei luoghi di senso e di sentimento (Parma e Roma). Esempio probante della scrittura in forma vitale, composta da una mappa del mondo geografica e metafisica condensata da una costellazione personale di immagini e visioni del tutto privi di echi sperimentali e avanguardistici.

Alessandro Moscè

 

 

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