ANDREA DI CONSOLI: RADICAMENTO E SPOSSESSAMENTO

Appunti sparsi, brogliacci amorosi, pensieri fulminei, constatazioni inattuali, riflessioni circostanziate, episodi curiosi: in altre parole un diario che traccia il bilancio del presente che nasce lontano nel tempo, gettando ogni maschera e simulazione. Andrea Di Consoli (nato a Zurigo da genitori lucani) lo ha scritto con quella visceralità, quella passione e quella febbre che lo contraddistinguono da sempre. E’ un uomo del sud che sente su di sé il dramma dell’esistenza, la povertà di chi è nato prima di lui, il dolore della morte delle persone e degli animali, il perdurare di un destino segnato da un “Dio dell’amore” o da un “Dio della pietà” che colpisce un familiare, un amico. La tipica fatalità meridionale, però, salta l’ostacolo e diventa anche un trattato letterario profondo, inflessibile, di chi è grato al luogo della nascita, seppure avvolto da una nebbia malinconica, dal volto pietrificato degli abitanti, quelli di un borgo e di una contrada, tornando indietro di decenni, quando nelle casupole di campagna c’erano ancora le lampade a petrolio tenute in mano da persone con un forte istinto primordiale. Di Consoli percorre la sua allegoria geografica da una terra più dolce ad una più aspra, cogliendo i lati misterici, spirituali di un radicamento e insieme di uno spossessamento. Diario dello smarrimento (Schibboleth 2019) è un dunque un diario intimo, il diario della realtà che si misura nella vita interiore, quella per cui i contadini pensano di essere dei capricci della natura, di non meritare nulla, neppure un profitto economico. Il passato è spesso una culla, un modo per non far morire la patria poetica di una vecchia casa con i rumori lievi, dell’infanzia e dell’adolescenza. “Al risveglio, quando non si è più giovani, la memoria dei sogni della notte si mescola ai ricordi, alle sperdutezze, ai sentimenti d’amore, a una strana sensazione di spadronanza”. Di Consoli non ama l’anti-romanticismo, chi nega la “consolazione dell’eternità”. Non ama neppure la solitudine, il distacco. Cerca il coinvolgimento nella totalità del sentimento come protezione e riserva mentale. Ma sono le persone più buone quelle che implodono, che hanno un crollo psichico, che sentono il bisogno di essere toccate, abbracciate, consolate. Andrea Di Consoli si oppone a risposte semplici quando è necessario formulare domande complesse che hanno a che fare con le piaghe della quotidianità, così che si possa dire: “La malattia, l’irrazionalità, il dolore e la morte sono le prove del disordine che gli artisti portano sulla soglia di casa di chi illusoriamente costruisce una vita irreale fondata sull’ordine e la compostezza”. E poi c’è Roma, la città degli indecisi se andare al nord o al sud, che stazionano in un “eterno accampamento provvisorio”. Di Consoli vive a Roma e fa il programmatore televisivo in una metropoli dove regna la precarietà dei corpi, delle abitudini, perfino degli oggetti. Diario dello smarrimento è un libro che procede ad intervalli irregolari, perché il fine dello scrittore non è il racconto descrittivo, ma appellarsi alla gioia, alla rabbia, al piacere, al dolore, all’alternanza degli stati d’animo tumultuosi. Cammina su di un terreno fertile dove parla in un monologo come davanti al mare aperto, in una storia di depressione e di guarigione, di ferite che non si rimargineranno, ma che costituiscono il corpo della resistenza, perché le stesse ossessioni siano il “dispositivo di sicurezza” da fronteggiare all’horror vacui.

 

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