E’ una storia pietosa, ma non se vista dall’angolazione dello sfortunato ragazzo, piuttosto se la guardiamo dalla parte del misero Stato italiano. Si chiama Steven, ha 22 anni, ed è malato di sarcoma di Ewing al bacino (la stessa malattia ossea che contrassi a 13 anni e che ho raccontato nel romanzo Il talento della malattia edito da Avagliano nel 2012). L’Inps lo ha abbandonato, ma il suo datore di lavoro no. L’azienda continua a pagarlo. E’ un esempio dell’Italia migliore, quella dei privati che non fanno scalpore. “Dovete vederlo Steven. Quando dà il suo contributo, seppure con fatica, fa aumentare la carica a tutti i dipendenti”. Rocco De Lucia parla commosso e fiero del “suo giovane” assunto alla Siropack, impresa di Cesenatico. Quando è entrato in squadra Steven era già affetto dal sarcoma di Ewing. L’industriale è anche attivo per aiutare un centro di ricerca per malattie oncologiche: giù il cappello. Sta di fatto che il caso ha dell’incredibile. Dopo 180 giorni L’inps ha fermato il pagamento. Steven sarebbe improduttivo, quando va a curarsi. Quindi, per un società che mette sul mercato solo merce, inutile. Steven non è considerato una persona titolare dei diritti sacrosanti del malato: è un ragazzo lasciato a se stesso da chi dovrebbe tutelarlo. I suoi colleghi volevano fare una colletta, ma il titolare dell’azienda ci ha pensato personalmente. Steven ora fa il video terminalista. Gli hanno da poco asportato un polmone non lasciandosi sopraffare dal male. Anzi, ha raddoppiato le sue forze psicologiche e il suo carico di lavoro seduto al tavolo del computer. Tutti sono con lui perché vinca la battaglia della vita. In azienda è umile e generoso, un buon elemento che la Siropack non vuole perdere. La sconfitta dell’umanità passa anche per queste cose, non solo sull’assenza di una legislazione europea davvero applicabile all’unanimità, sull’immigrazione, come si scrive ovunque. Siamo un paese sbandato, distratto, cinico. Siamo un paese dove la burocrazia e l’indifferenza prevalgono su ogni stimolo umano senza tornaconto. Marco Tarquinio, su “Avvenire”, in un editoriale di pochi mesi fa, ha annotato: “Il cinismo uccide tanto quanto coltelli ed esplosivi”. Chi è il cinico, in fondo, se non colui che Henry Ward Beecher spiegava nelle sue Lezioni ai giovani (1858)? “Il cinico è uno che non vede mai una buona qualità in un uomo e che non manca mai di vederne una cattiva. È un gufo umano, vigile nell’oscurità”. Il cinico è una macchina, come lo Stato, come tutto ciò che si compone di una struttura sterilizzata dai sentimenti, di un apparato impudente. Ma Steven se ne infischia…
Alessandro Moscè