IL CALDO E LA PIOGGIA: LEOPARDI E PASCAL

La natura matrigna di Giacomo Leopardi ci mette di fronte ad un dato compiuto: l’uomo non può controllare i processi che regolano il funzionamento della terra, le sue condizioni atmosferiche. Basta poco per distillare la finitudine umana, la complessità del credere o dell’avere una visione panteista, agnostica, atea dell’esistenza. Anche i mesi di caldo torrido e di siccità dimostrano l’impotenza dell’uomo che reclama invano la pioggia. O all’opposto, che la natura non provochi disastri con una tormenta di grandine, con un sisma. La natura non è sempre spettacolo, non è solo immagine incantevole: può tradursi in sofferenza, insonnia, malattia, epidemia. Non è il grande spettacolo menzionato da Emily Dickinson, lo scoiattolo, l’eclissi, il grillo. La natura si fa complessa, specie nella concatenazione dei fenomeni naturali. Un’onda anomala uccide, come il terremoto di Amatrice. Scrive Leopardi nello Zibaldone: “Là quella rosa è offesa dal sole, che gli ha dato la vita; si corruga, langue, appassisce. Là quel giglio è succhiato crudelmente da un’ape, nelle sue parti più sensibili, più vitali. Il dolce miele non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api senza indicibili tormenti di quelle fibre delicatissime, senza strage spietata di teneri fiorellini. Quell’albero è infestato da un formicaio, quell’altro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare”. Come comportarsi di fronte ai cambiamenti climatici che hanno annullato il passo consuetudinario delle stagioni, le stesse previsioni meteorologiche, data l’irruenza con cui il sole picchia e con cui la pioggia batte in questi giorni, dividendo l’Italia in due segmenti, dal nord al sud? Si può constatare che l’organismo, per mantenere costante la temperatura interna, consuma energia e funge da termoregolatore. Certamente la sofferenza di un caldo asfissiante ci induce a ritenere che l’uomo non considera l’ambiente solo come una fonte inesauribile a sua disposizione. Non basta tutelare la biodiversità, rispettare un parco o una riserva, essere rigorosi in un comportamento di preservazione. Qualcosa ci supera nettamente. Blaise Pascal, in Pensieri (1662) aveva indicato quella fatalità che vale più di ogni spiegazione: “Perché la mia conoscenza è limitata? La mia statura? La mia durata di cent’anni piuttosto che di mille? Quale motivo ha avuto la natura di darmela di tale misura e di scegliere questo numero piuttosto che un altro, fra gli infiniti numeri, non essendoci maggior ragione di scegliere l’uno più che l’altro, dato che nessuno attira più di un altro?”. La sofferenza fisica, non è forse il preludio della morte? La gioia e il benessere del corpo non sono altro che lo splendore della giovinezza. Quando reagiamo agli eccessi del caldo o del freddo, della siccità o del terremoto, facciamo sempre i conti con un adesso e un dopo. Le metafore della vita reggono la nostra quotidianità, a 40° dentro casa, in un isolato posto di montagna dove trovare refrigerio, dove pensare che Dio è onnipotente, o che forse lo abbiamo plasmato noi, impauriti dal nulla vorticoso.

Alessandro Moscè

 

Tags from the story
, , , , , , ,
0 replies on “IL CALDO E LA PIOGGIA: LEOPARDI E PASCAL”