ANTONIO NAZZARO: IL VENEZUELA RACCONTATO IN PIAZZA

Antonio Nazzaro (1963) è un giornalista, poeta, traduttore e mediatore culturale. Attualmente vive a Caracas dove è stato coordinatore didattico dell’Istituto Italiano di Cultura, assistente dell’attaché culturale in Venezuela e capo redattore de “La Voce d’Italia”. Nel suo Appunti dal Venezuela (Arcoiris 2017) emerge un paese decisamente in subbuglio, “una caserma militare dove parlano i proiettili e gli stivali”. La guerra civile è all’ordine del giorno e la guerriglia risulta una consuetudine al pari della morte. Ecco i dati, impietosi: 4.700 omicidi dall’inizio dell’anno, per lo più giovani trentenni, una mortalità infantile cresciuta del 30% e quella delle partorienti del 65%. Ce ne parlano, a singhiozzo, i giornalisti, ma anche i poeti e i narratori come Antonio Nazzaro, che estrapolando un sentimento contrariato manifesta il male dilagante e che si propaga dai vertici militari del governo fino alla piazza dei manifestanti, dove perfino gli anziani, innocui, vengono allontanati con spruzzi di gas al peperoncino. Il suo è un reportage miscellaneo dove narrazione e poesia si alternano di capitolo in capitolo. “Strana storia quella del Venezuela: Hugo Chávez tenta un colpo di Stato ma fallisce, finisce in carcere e poi riceve il perdono, si presenta alle elezioni e diventa presidente. I tre leader dell’opposizione attuale assistono e partecipano al colpo di stato contro Chávez. La politica in Venezuela ha nel suo Dna come strategia estrema il colpo di stato. All’alba del fallito golpe contro Chávez nasce e prende forma una nuova idea di società politica e istituzionale che si chiama unione civico-militare, il cui lemma è che l’esercito del popolo non alzerà mai più le armi contro il suo popolo”. Nazzaro descrive Caracas: un infinito con “le unghie come case / aggrappate una sull’altra”. Si può morire per le proprie idee, si può assistere impotenti alla forza devastante di corruzione, speculazione e impunità, nonostante ovunque ci siano epicentri di protesta. La gente soffre la fame in un paese dove si spara “come si mangiano le caramelle”. La violenza estrema contrasta con la dolcezza esotica di Caracas: “Il popolo non ha mai chiesto giustizia per i forse tre, cinque, chissà ottomila desaparecidos della sua storia politica. Una commissione che indaga sui fatti ha prodotto solo silenzio ma nessun urlo di protesta. Nessuno chiede giustizia. Forse è questa la sintesi più chiara di un paese che non c’è”. Nessuno, inoltre, ha un martire a cui rispondere, al quale appellarsi. Come dare una risposta ai cadaveri sul mondo, si chiede Nazzaro, mentre alle molotov si risponde con rudimentali bombe di escrementi da parte di una confusa opposizione? L’odore della vergogna non è di certo quello del pane o dei biscotti. C’è chi vende di contrabbando al mercato nero, chi millanta, chi si dispera e chi continua a uccidere. Negli scaffali dei supermercati, intanto, è finito ogni genere di alimento. “Ho un nuovo rosario / e dovrei essere ateo / sono grani che hanno un nome / molti vorrebbero anche una bandiera / come se un sudario alleviasse il dolore / sono volti sorridenti fermati / da uno sparo una pietra / scomparsi nel fumo di lacrimogeni / incendi e la parola pace / sono grani teneri / troppo giovani per una cantilena di morte / e nel tempo a forza di sgranare / resteranno solo i nostri silenzi insanguinati”. Questioni politiche ed etniche si scontrano con l’ideologia di una società antiborghese tenuta al guinzaglio. L’attuale capo dello Stato è Nicolàs Maduro. Anche la scorsa settimana alcuni uomini armati hanno attaccato a colpi di arma da fuoco un seggio elettorale. Quattro individui sono stati feriti gravemente. Almeno il 98% degli elettori si è espresso contro la decisione del capo dello stato di creare un’assemblea costituente al posto del parlamento, ma il verdetto delle urne non è stato tale da costringere il presidente a favorire l’avvio di una transizione democratica. Questa summa o bilancio di Nazzaro appartiene alla scrittura plurima, alla riconnessione di un vissuto quotidiano attraverso il racconto aperto che immette nel circuito voci e registri espressivi rintracciabili in più luoghi e in più episodi. Il Venezuela è tratteggiato nella sua anima perduta dall’annosa e irrisolta condizione socio-politica. Il linguaggio è anche quello della cronaca e del referto, non solo dell’osservazione e dell’intendimento di ciò che accade. I luoghi, allora, diventano sopralluoghi dell’uomo che travalica ogni pregiudizio intrattenendo il lettore con puntigliose considerazioni.

Alessandro Moscè

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