Papa Giovanni Paolo II fu anche poeta, ma in pochi lo sanno. Lo riscopriamo con l’opera più persuasiva, che è certamente Trittico Romano. Meditazioni (Editrice Vaticana 2003, ripubblicato da Bompiani nello stesso anno): una raccolta di dodici liriche che Karol Wojtyla, tornato a scrivere dopo una lunga pausa, compose durante un soggiorno nella residenza estiva di Castelgandolfo. La pubblicazione proponeva, al fianco del testo italiano, alcuni passi dell’originale manoscritto in lingua polacca. I versi che il Papa ha chiamato meditazioni e diviso in tre momenti, attengono alla natura, alla contemplazione della Cappella Sistina e al genio di Michelangelo, con l’aggiunta di un testamento che affidò ai cardinali. Fin dalla sua giovinezza Giovanni Paolo II manifestò una grande passione per la letteratura e per la filosofia che, negli anni del pontificato, è scaturita in pubblicazioni dall’alto valore teologico e contemplativo, ma che dimostrano una tenuta linguistica e uno slancio evocativo che salgono nella “navicella” del sapere metafisico. Nel Trittico si esprime l’unione armonica di questa sensibilità nata da uno stato di meraviglia inteso come primordiale impulso conoscitivo verso la ricerca. Si scoprono così i tanti interrogativi che l’uomo si pone, ma anche visioni creative che inquadrano la Verità, il Verbo, l’amore e la sapienza del Dio Creatore. Il Trittico Romano si divide in tre stanze. Nella prima (Torrente) il Papa poeta si sofferma sull’incanto della Natura. Wojtyla sublima quel cammino “controcorrente”, a volte difficoltoso, in grado di palesare la Verità della vita, la sua sorgente. Nella seconda stanza (Meditazioni sulla Genesi. Dalla soglia della Cappella Sistina) si ferma in contemplazione: Michelangelo è colui che è stato in grado di dare immagine al Verbo della Genesi. L’opera del pittore, attraverso una “ricchezza affluente di colori”, ha tradotto in visione concreta lo stupore che esiste nell’atto straordinario della Creazione. In un passo intenso Wojtyla si rivolge ai cardinali del Conclave auspicando che vengano illuminati e guidati dalla luce e dalla trasparenza delle immagini di Michelangelo. Nella terza stanza (Colle nel paese di Moria), il Papa si sofferma sulla figura di Abramo: “Colui che ebbe fede, sperando contro ogni speranza”. Oltre al Papa poeta, stupito dinanzi al Creato, alla Cappella Sistina, alla forza e alla trasparenza di Dio, si esprime il Papa impegnato nel suo ruolo di messaggero e pellegrino di Dio. Fondamentale il concetto del valore della vita umana quale occasione di conoscenza e compimento della propria missione. “Dio foggiò l’uomo a Sua immagine e somiglianza, lo creò maschio e femmina…” E ancora: “Dio vide che ciò era buono assai (…) / nessun secolo riuscirà ad offuscare la verità su immagine e somiglianza”. Non ultimo, il tema dell’Alleanza e della Pace, fondamentali nell’ultima stanza, dove Wojtyla parla delle terre di Abramo, che al tempo della stesura dell’opera erano minacciate dalla guerra. Si sofferma soprattutto sul Giudizio attraverso cui tutti passeremo, su quella “fine invisibile” trasformata da Michelangelo in “icastica veduta” e in “apogeo della trasparenza”. Ha sottolineato Giovanni Reale, al quale fu assegnato il commento critico, che Il Trittico Romano di Karol Wojtyla è un testo poetico bello e toccante. Wojtyla riunisce in sé, in differente misura, le tre grandi forze spirituali mediante le quali l’uomo ha da sempre ricercato la Verità: arte, filosofia e fede. “Il nesso di queste tre forze, nell’unità in cui si trovano, costituisce quello che Platone chiamava il dèmone con cui l’uomo nasce e da cui viene accompagnato per tutta la vita”. Per Joseph Ratzinger “Dio traspare nella creazione e nella storia. Ci cerca nelle nostre sofferenze e nei nostri interrogativi. Ci mostra che cosa significa essere uomini: donarsi nell’amore, il che ci rende simili a Dio. Attraverso il cammino del Figlio sul monte del sacrificio si svela il mistero celato dell’esordio del mondo. L’amore che dona è il mistero originale e, amando anche noi, comprendiamo il messaggio della creazione, troviamo il cammino”. Forse queste parole sono proprio il presagio della futura santità di Giovanni Paolo II, poeta del bene centrifugo e centripeto, dell’uomo e del divino.
Alessandro Moscè