LA POESIA E FACEBOOK FANNO A CAZZOTTI

Un servizio del settimanale “L’Espresso” di questa settimana riapre un dibattito più che mai controverso, appiattito, spesso falsato. Tre milioni di italiani pubblicano poesie e di solito lo fanno attraverso i social media. Ma quanti di questi versificatori si possono considerare poeti? Mi capita di ricevere dattiloscritti, e-mail, richieste di aiuto. Dovrei dare un parere e mi trovo in imbarazzo. La maggior parte delle cose scritte sono di qualità molto scadente. Ha ragione Aldo Nove nel dire che su Facebook si incappa negli “sfogatoi melensi”. Rime baciate, frasi retoriche, prosaicità senza alcuna cura del testo e chi più ne ha più ne metta. Poesia e Facebook sono distanti anni luce, fanno a cazzotti. La poesia non è democratica, così come lo scrivere. Se un gesto artistico può avere una sua valenza esistenziale, la letteratura è un’altra cosa. Diffidate sempre di chi vi mette il “mi piace” entusiastico su un vostro testo. L’applauso, in poesia, non va d’accordo con la sostanza delle cose, ma con un dilettantismo stile kitsch. L’impatto con la parola è duro e selettivo. E’ sconcertante che chi scriva non solo non abbia mai letto Maurizio Cucchi o Milo De Angelis, ma che non li abbia neppure sentiti nominare. La poesia non la legge nessuno, si dice. E’ vero, ognuno la fa in casa, come la pasta, ironizzava Giorgio Caproni. Ma è anche vero che la poesia è richiesta, la si incontra ovunque. E’ una tra le parole più cliccate su internet. Eppure non circola, nonostante gli sforzi di molti organizzatori di talento, i readings, gli incontri di lettura, i premi, i festival. La poesia va semplicemente inquadrata in un’ottica che non può essere né popolare, né enfatica. Va capita, assimilata, innanzitutto nel ritmo musicale. “La poesia, non ad altro intonata che a poesia, è quella che migliora e rigenera l’umanità, escludendone, non di proposito il male, ma naturalmente l’impoetico”, precisava Giovanni Pascoli. Ai giovani che scrivono, l’unico consiglio che si può dare è di mettersi a leggere. Perché la poesia è testo, non solo emozione. Comprate i libri, non andate su Facebook a cercare solidarietà tra i sedicenti poeti. Se volete avere una panoramica della poesia italiana di oggi, comprate le antologie che si trovano nelle migliori librerie. Un’ultima osservazione. Non è vero come pensa l’Accademia di Svezia che un cantautore sia un poeta. Un cantautore è un cantautore che ha bisogna della musica per accompagnare la canzone. La poesia è già di per sé musicale. Per questo il Premio Nobel dato a Bob Dylan è un errore che fa entrare a pieno diritto il mondo dello spettacolo in ciò che spettacolo non è. La Svezia sovverte una concezione basilare e snobba i poeti, gli stessi narratori, in favore di un cantore ambulante, seppure di grande valore. Eugenio Montale non avrebbe mai vinto il Nobel per la musica, ma la giuria, seguendo il criterio alquanto discutibile del 2016, avrebbe potuto stravolgere i ruoli. Siamo dunque al paradosso. Se la letteratura non ha più la forza persuasiva di un tempo, sia nella concezione comune che da un punto di vista editoriale, il Premio Nobel edizione 2016 le dà una mazzata tra capo e collo. Leggendo i quotidiani, da Irvine Welsh ad Alessandro Baricco, a Valerio Magrelli, a Giuseppe Conte, c’è chi si interroga sulla decisione di equiparare libri e canzoni. “È come se dessero un Grammy Awards a Javier Marias”, sostiene Baricco, ”perché c’è una bella musicalità nella sua narrativa”.

Alessandro Moscè

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