JAVIER MARIAS: “NON CONOSCIAMO BENE NIENTE”

Il supplemento settimanale del “Corriere della Sera, “La Lettura”, ha premiato lo scrittore e saggista spagnolo Javier Marías in particolare per il romanzo pubblicato da Einaudi, Berta Isla, nel 2018. Una narrazione basata sui rapporti precari, sull’identità umana in continuo movimento, sull’amore in disequilibrio, sulla segretezza e l’equivoco che assaltano la quotidianità delle case, dei posti di lavoro, dei luoghi dove ci rechiamo saltuariamente. Un libro sul mistero di esistere, che ha portato Marías a dire, come riporta oggi Ida Bozzi sul “Corriere”: “Tutti pensiamo di sapere abbastanza, ma non è così. Non sappiamo nemmeno chi erano i nostri genitori prima di essere i nostri genitori. E’ il destino di tutti non conoscere bene niente, nemmeno noi stessi. E questo riguarda anche i fatti. Una persona che esce da una stanza già perde la forza del presente”. Se la letteratura è informazione e protezione, come ha riferito Javier Marías l’11 gennaio al Teatro Grassi di Milano dialogando con il linguista Giuseppe Antonelli, è inconfutabile che la scrittura rivela come nient’altro la precarietà umana, la revocabilità, la transitorietà. L’autore spagnolo è bravo proprio nel focalizzare questa abrasione: non siamo mai certi di possedere qualcosa, né materialmente, né invisibilmente. Non sappiamo da dove veniamo, dove andiamo. Ci affidiamo all’intuito, spesso tradendo la nostra stessa persona suddivisa in più spartiti, in più ruoli, in più funzioni (e finzioni). Il non sapere è un aspetto atroce dell’esistenza. Nel romanzo L’isola di Arturo di Elsa Morante, uscito per la prima volta nel 1957, ogni punto d’arrivo dei protagonisti viene sconfessato, ogni uomo e ogni donna sono un muro impenetrabile, a tal punto da offuscare e confondere anche i sentimenti individuali dei più giovani e degli adulti. La soggettività dell’esperienza è interscambiabile, crea un atto mimetico anche quando la raccontiamo. La realtà, per Marías, è sfuggente, inclassificabile. Il meccanismo narrativo mostra l’illusione delle apparenze: un grande affresco dipinto e ridipinto, con strati che nascondono altri strati, raffigurazioni secolari. Javier Marías è un grande scrittore perché illumina l’inafferrabilità e infonde una nebbia sedativa. “La ragione non è capace di accettare l’idea di estinzione o il concetto di «per sempre», che con tanta disinvoltura usiamo nel linguaggio di tutti i giorni. Si fa fa riferimento al futuro, nella nostra concezione comune, ma «sempre» comprende in realtà anche il passato, e questo non si estingue mai e non si cancella mai del tutto”. La memoria, probabilmente, è l’unica visione che ci permette di inserire un tassello fisso. L’amore è un caso, una sorte, un tempo. Il non dominio dell’uomo sull’uomo ci rende crudele anche il sentimento più nobile, quando ci viene sottratta la presenza fisica di un uomo o di una donna, come se un’ellissi non permettesse di stringere più qualcosa di nostro che è fermo al centro, in uno spazio aleatorio, impietoso.

Alessandro Moscè

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