Almeno a partire dagli ultimi due decenni è accaduto un fenomeno passato inosservato ai più: la trasfusione del mondo dello spettacolo nella vita culturale, al punto che il maître à penser è diventato di soppiatto il cantante, il cabarettista, il comico, in una confusione di discipline e di percezioni collettive che ha reso tutto più dozzinale. Non ha più peso lo scrittore, il filosofo, mentre sale di grado il soggetto televisivo che fa audience. I giovani di oggi non sanno chi sono stati Croce, Einaudi, Bobbio, Sturzo, Gobetti, Dossetti, Moro. Nessuna conoscenza di Vittorio Foa, Augusto Del Noce, Guido Calogero, Giovanni Amendola. Mario Luzi è un perfetto sconosciuto. Solo Pier Paolo Pasolini è diventato un’icona come le star della musica pop. Il pensiero italiano della prima settimana del 2019 si è concentrato sui sermoni e sui silenzi di Adriano Celentano, celebrato come un classico d’attualità. La fenomenologia del repertorio dello show-man lo rende maestro della retorica, un creativo della lingua dissimulata, che rispecchia la verità attraverso l’effetto della persuasione. L’approccio rivoluzionario dei nostri tempi sta nell’affidamento della parola a chi si fa interprete dell’ovvietà. Di fatto il pensiero critico non esiste più, in questo eterno presente in cui non ha rilevanza ogni forma di testualità, soppiantata da una logica pluralista per cui “uno vale uno”, qualunque cosa si dica. Viene elevato il programma fatuo, la comunicazione leggera a progetto di ricerca nella sperimentazione del mezzo televisivo o del web con il pubblico che interagisce da casa. La cultura non è più un bene per il nostro paese, né un’eccellenza, in una società sempre più mediocre e condizionata dalla massa vociante, impreparata e litigiosa, esemplare modello di decadimento morale prima che culturale. Maurizio Ferraris, filosofo, parla di “nuovo realismo”, cioè della presa d’atto di una svolta. I mass media ci dicono che la realtà risulta socialmente costruita e manipolabile, per cui l’oggettività sarebbe una nozione inutile e ogni ruolo può essere messo in discussione. L’interrelazione è ridotta a semplicismo e lo stesso pensiero si fa automatico: tanto più è stringato tanto più attecchisce. Ecco perché il telefonino “non ricopia la voce, ma disegna le cose e i pensieri”, afferma Ferraris. La voce del cantante è amplificata, diventa un mantra perché ha accesso ovunque e in tempo reale: televisione, portatile, iphone con tripla camera (ultima produzione in vendita). Karl Popper, in Congetture e confutazioni (1963) scriveva: “Sotto l’aspetto quantitativo, come pure sotto quello qualitativo, la fonte di gran lunga più importante della nostra conoscenza è la tradizione. La maggior parte delle cose che conosciamo le abbiamo imparate da esempi, o perché ci sono state dette, o perché le abbiamo lette nei libri, o imparando come criticare, come accogliere e accettare le critiche, come rispettare la verità”. Stiamo andando pericolosamente contromarcia, ahimè.
Alessandro Moscè