CONVIENE BRUCIARE TUTTO?

L’ultimo romanzo di Walter Siti, uscito la settimana scorsa, sta suscitando un vespaio di polemiche. I segreti di un prete, la sua pedofilia, la colpa spaventosa sono i temi dominanti di Bruciare tutto (Rizzoli). La tentazione maldestra può costituire il contenuto e la forma della letteratura. Sostiene Massimo Onofri sul “Corriere della Sera” che il fattore estetico contiene la sua etica. E’ vero che l’orrore della coscienza ha forgiato I demoni di Dostoevskij, si potrebbe rispondere. E’ vero che è stato raccontato il nazismo, lo stupro, l’assassinio, la brutalità animale dell’uomo. Dunque il romanzo di Siti non suscita scandalo, nella perdizione del suo protagonista. Non ho letto Bruciare tutto, ma lo farò. Siti non è tra i miei narratori preferiti e non sono incline a congetture sull’eventualità di accostare l’uomo al personaggio di un libro, peraltro, in questo caso tutt’altro che autobiografico. Ritengo, però, che il male si possa raccontare se lo si è vissuto intensamente, se è stato l’oggetto di un’esperienza diretta. Altrimenti diventa un modello facile, uno stereotipo qualunquista, un’operazione equivoca. Non basta il giudizio estetico, scrivere bene o scrivere male. Il punto è un altro: che cosa ha indotto Walter Siti a licenziare Bruciare tutto? Una forma di autopunizione, la spinosità dell’oggetto come mezzo che consente di accentrare l’attenzione su di sé, il piacere di imbattersi nel male per dimostrare che tutto è lecito, che moralità e immoralità non esistono se non come dicotomie superate? Spesso ho letto libri incentrati sulla malattia, sull’ospedalizzazione. Capisco subito quando la vicenda è autentica o meno. Anche un dettaglio può farlo intuire, come la goccia della flebo che entra nel corpo attraverso un ago (come?), o la descrizione di una sala per le radiografie (la struttura della stanza ha determinate caratteristiche). Un’autrice molto nota, in proposito, scrisse delle sciocchezze inaudite. Non sapeva nulla del decorso di una neoplasia da un punto di vista scientifico e di come l’apparato medico e paramedico si occupa del paziente. Ora vale la stessa cosa per il prete di Siti e per i reati che ha commesso. E’ attendibile ciò che è stato scritto? E’ verosimile? Sarebbe interessante sapere anche se Siti ha conoscenza della pedofilia e più specificatamente del mondo cattolico, se pensa che la classe ecclesiastica sia anche altro o se la sua condanna rappresenti una sfaccettatura paradigmatica, il pretesto per scrivere del prete che abusa di un ragazzino. Il tema è ripugnante, d’accordo, ma nessuno sa perché Siti ha pubblicato Bruciare tutto. Il baratro di un individuo non può essere eclatante, per usare un francesismo che rende l’idea, come non lo era l’Olocausto vissuto da Primo Levi, che infatti ha scritto dei “capolavori con gli occhi”. Un romanzo scabroso è sostenibile se apre una ferita personale, altrimenti conviene davvero bruciare tutto. O forse no, perché di quelle pagine non rimarrà  niente e l’oscenità è avviata nel dimenticatoio prima del malvagio prete di Siti.

Alessandro Moscè

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