LA LETTERATURA E L’ALTRO

Molti si chiedono a cosa serva la poesia. Se sia portatrice, realmente, di un valore aggiunto. Lo stesso ci si chiede sul conto della narrativa e della critica letteraria. Ne discutevo durante un viaggio, sorridendo e provocando chi ne sminuiva la funzione (non il ruolo, che di fatto non esiste). Oggi, una società sempre più edonista e mercificata, fa i conti con il prezzo, con la quantificazione di ciò che si vede, si prende in mano e si pesa. Tutto ciò che non è oggetto materiale passa in secondo piano perché indefinibile. E tutto ciò che è indefinibile spaventa. La letteratura serve, eccome. Ma non in misura reale, per la maggior parte della gente. Quindi nella percezione comune se ne potrebbe fare a meno. La ragione del bene della letteratura ce la fornisce Tzvetan Todorov, il pensatore di origine bulgara morto il 7 febbraio. Un suo intervento esposto in Italia nel 2010 è stato ripreso da “Avvenire” il giorno dopo. In poche parole Todorov dice tutto. La letteratura non è forma, non è gergo, non è solipsismo, non è rigore. E’ semplicemente un capolavoro di umanità, di esperienza e testimonianza. Possiamo fare a meno di testimoniare il mondo? Di tentare di capirlo attraverso le persone, i gesti, le parole? No, non è possibile. La vera vita è nella letteratura, dunque, perché essa si occupa della condizione umana. Siamo senso, spirito, emozione, paura, speranza. Siamo gioia, tristezza, euforia, disperazione. Siamo una direttrice di senso. Tzvetan Todorov concluse il suo intervento affermando: “Quale migliore introduzione alla comprensione dei comportamenti e dei sentimenti umani, se non immergersi nell’opera dei grandi scrittori che si dedicano a questo compito da millenni?”. Uno scrittore non vale meno di un avvocato, né meno di un ingegnere o di un medico. Ma non monetizza la sua opera, come invece il libero professionista è abituato a fare, parcellizzando la prestazione. Scrive David Bidussa sul “Sole 24Ore”: “Che cosa saprebbe oggi la lettura dell’immaginario moderno contemporaneo, intorno agli incubi e ai sogni senza gli studi di Jean Starobinsky nell’inchiostro della sua malinconia?”. I sogni e gli incubi fanno parte di noi, ma non ne parliamo volentieri. Anche una felicità improvvisa che tende a sfuggire, non la mettiamo mai in cornice. Eppure ci coinvolge in modo pregnante. La letteratura si annida nel senso del non detto, del volontariamente celato. E quando lo scrittore sfida le convenzioni sociali e mette a nudo l’altro, fa cadere un tabù. L’arte stessa educa allo svestimento, e non è un caso che le grandi tele e le grandi sculture del passato raffigurino dei nudi. Ma l’altro ci spaventa se ci punta gli occhi addosso, seppure benevolmente. Ecco perché nella società piccolo-borghese la letteratura è percepita come un fastidio e non come una risorsa. La letteratura non può tacere, anche contro il volere della moltitudine. E’ un urticante per chi la esercita, e anche un lavoro duro e selettivo. Credetelo.

Alessandro Moscè

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