LA LETTERATURA, I LETTORI E GLI INSEGNANTI

Non meraviglia la lacuna di Natalia Aspesi che dice di non aver mai letto A Zacinto di Ugo Foscolo. Succede che molti scrittori noti non abbiano letto quei classici ritenuti indispensabili nel percorso formativo. O che preferiscano leggere tre, quattro volte lo stesso romanzo a discapito di altre conoscenze letterarie che rimangono lettera morta. Tutti abbiamo dei vuoti da colmare, perché il tempo è inesorabile e non basterebbe mai per divorare i libri del passato, i classici e quanto ci propina continuamente la nostra contemporaneità. Ma c’è un fenomeno che inquieta di più ovviamente, e cioè la refrattarietà degli italiani a leggere. Uno scrittore dà alle stampe un libro per un pubblico che sta purtroppo scomparendo. Uno scrittore ambisce ad un’utenza che è sempre più assottigliata. Anche nel 2015 i lettori di libri letterari sono diminuiti rispetto all’anno precedente, confermando la tendenza negativa avviata nel 2010. Siamo un paese di non lettori: i nostri livelli sono in generale la metà della media europea, e il 60% degli italiani non ha mai comprato un libro nell’arco di dodici mesi. Il mercato continua a perdere quote, con un calo, rispetto all’anno precedente, del 4,6% e con l’unica luce che arriva dall’editoria per ragazzi (+5,9%). Complessivamente, su una popolazione di circa 60 milioni di persone, il bacino dei lettori si è ristretto a 848 mila uomini e donne (più donne che uomini). La scuola non fa amare Foscolo, né Manzoni, né Leopardi. I retaggi del liceo inducono spesso ad allontanare la letteratura, giudicata noiosa, improduttiva, sostanzialmente inutile. Gli insegnanti ci hanno fatto odiare tutti, anche Dante, è stato detto un’infinità di volte. Al punto da indurre la provocazione da parte di uno dei migliori poeti della sua generazione, Davide Rondoni, che con il suo Contro la letteratura. Un’accusa e una proposta (Bompiani 2016) accende il dibattito ben oltre le note della Aspesi e di Michele Mari su “Repubblica” nel botta e risposta su Foscolo registrato in questi giorni. “Fanno gli svolazzi calligrafici sul suo nome e intanto le calpestano il viso, la sfigurano a calci. Le si dedicano cattedre in tutte le scuole superiori dello Stato e intanto le si tarpano le ali. La letteratura è l’unico bene antropologico del nostro Paese. E la scuola la sta distruggendo. A chi difende il vigente sistema di insegnamento dico: voi state difendendo questa situazione. Ne siete dunque corresponsabili almeno quanto quelli che l’hanno generata in migliaia di pubblicazioni, convegni, ore di insegnamento. Per di più pagati dallo Stato. Una montagna di soldi pubblici per ottenere la pubblica fucilazione dei grandi capolavori della nostra letteratura. Una formidabile idiozia. Tutto questo non vi suscita nessun moto di insurrezione? A me sì, e per questo faccio una proposta: smettiamo di insegnare la letteratura a scuola, rendiamola facoltativa. Lasciamo ai nostri figli questa libertà”. Smettere di insegnare la letteratura per coltivare una passione autentica, endogena, perché si abbiamo maestri di lettura e allievi realmente interessati, perché la letteratura sia interattiva e vivace. Perché i giovani imparino a capire che i temi dominanti del poeta e del narratore sono gli stessi che colpiscono le loro vite, che non smetteranno mai di coinvolgerli. Amore, perdita, gioia, dolore, giovinezza, morte. Il Foscolo è uno dei poeti più legati all’immagine assoluta dell’esistenza, ad una totalità di interrogativi. Togliere l’aridità dalla scuola può essere il primo passo per far amare la letteratura? Su un punto Rondoni ha ragione: troppi insegnanti sono alle prese con la l’interpretazione di cose che hanno poco a che vedere con la lettura. Spesso l’insegnante non legge, non ha fantasia, non ha creatività. Spesso è un corpo estraneo alle prese con beghe burocratiche e con un programma asfissiante. Un docente di letteratura italiana mi dice che la modulistica scolastica da riempire conta più di un verso del Foscolo. La cornice sovrasta il quadro.

Alessandro Moscè

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