La fiction nasce dalla realtà stessa, e spesso non c’è bisogno di amplificarla, di romanzarla, di deviarne il corso. Gli ultimi esempi di cronaca nera lo dimostrano: un ispettore di polizia qualunque, in una qualunque città italiana, potrebbe indagare sull’efferato omicidio di Sara Di Pietrantonio, la giovane bruciata dal suo ex fidanzato in zona Magliana a Roma. Il caso dell’imprenditrice scomparsa nel nulla in Sardegna, dell’ex allievo romano che uccide l’insegnante dopo averla derubata, dell’amante del sacerdote nigeriano di Ca Raffaello che non è mai stata ritrovata, sembrano altri canovacci di una storia da thriller all’italiana. Ecco che l’episodio diventa cronaca giornaliera dei rotocalchi, approfondimento mediatico, e il genere si diffonde anche nella letteratura d’intrattenimento. Il giallo e il noir d’importazione inducono alla stesura di romanzi che invadono le librerie. Una volta, nel noir si indicava un particolare sottogenere del poliziesco derivante dall’espressione roman noir, letteralmente romanzo nero. Nell’accezione originaria francese, roman noir era utilizzato per indicare il romanzo gotico del XVIII e XIX secolo, tuttavia nel XX secolo il significato cambiò e l’espressione servì a descrivere un nuovo filone proveniente dagli Stati Uniti, l’hardboiled. In Italia il romanzo originario secondo il modello ottocentesco di narrazione in prosa, o lo stesso romanzo di formazione, è in ribasso e rischia di scomparire definitivamente. La realtà particolare sconfigge la rappresentazione assoluta perché la confina pedissequamente dentro lo stesso schema. C’è un omicidio in ogni romanzo, in ogni abitazione, in ogni ufficio, in ogni angolo di strada. C’è un commissario che indaga, c’è un assassino che sfugge, c’è chi reclama giustizia e chi vendetta. In ogni provincia un commissario Montalbano diventa eroe della quotidianità crudele, sanguinaria. Oggi un classico del Novecento come Cesare Pavese avrebbe difficoltà a pubblicare e la Recherche di Marcel Proust sarebbe rifiutata da ogni editore. Torniamo alla storicità del romanzo. Il termine Weltanschauung appartiene alla lingua tedesca ed esprime un concetto fondamentale nell’epistemologia, ma spesso applicato alla letteratura. La traduzione letterale è “visione del mondo”, “immagine del mondo”, e può essere riferito ad una persona, ad un contesto di gruppo come ad un ambiente. In fondo si narrano non solo i fatti, ma anche le idee. Ma cosa rimane nel romanzo odierno di questo assunto, quando la scena madre viene ormai mutuata dalla cronaca e da rappresentazioni parallele come il cinema e la televisione? Gli archetipi ci sfuggono di mano: non siamo più nella diade vita/morte, nella narrazione dell’amore, del dolore, della perdita, della memoria, del tempo. Siamo in un eterno presente che non guarda all’uomo, al suo esistere, alla totalità del sentire. La letteratura dell’esperienza comune rischia di tramutarsi in letteratura del deviante, cioè in una distorsione malvagia e spettacolarizzata.
Alessandro Moscè