L’ORIZZONTE GRAVITANTE DI ELIZA MACADAN

Eliza Macadan (nata nel 1967 a Bacau in Romania, risiede tra Bucarest e l’Italia), con Anestesia delle nevi (La Vita Felice 2015) ha confermato che l’atmosfera e i gradienti termici sono elementi che ricorrono spesso nella poesia europea del terzo millennio. L’autrice disegna traiettorie ariose, evaporazioni terrestri, acuendo “sensibilità, reattività, riflessione e senso etico”, come ha notato Amedeo Anelli nella prefazione. La poesia di apertura è sintomatica di un’evidenza rappresentativa, di un attraversamento di percezioni meteorologiche che sembrano uscire direttamente da un corpo umano: “guarisco / la terra / con i passi perduti / cavalco / la notte / con la frusta nell’aria / spavento / l’aurora / e vado a dormire / a Nord della parola”. Le immagini utilizzate sono per lo più simboliche, metafore di fluidità astrali nella dualità luce/buio, come se l’eternità, imprendibile, si impossessasse di luoghi e persone. Tutto è sommario, transitorio, perfino impassibile tra il sonno e le stagioni, i caffè di periferia e un’invisibile “polvere stellare”. Nei quartieri sondati da Eliza Macadan ci sono puttane e mercati del sesso, pescatori e barriere autostradali: la visibilità quotidiana entra in un’ispirazione libera, estrovertita, dove gli elementi naturali fanno da spartiacque nel tracciato tra cronaca e memoria, presente e assoluto. I fantasmi vengono evocati da zone aleatorie, in un dialogo tra l’io e un ipotetico tu: “devi morire / solo quando le tue parole / arriveranno sulle loro labbra / finché diventeranno le parole e avranno dimenticato / in fretta che tu e le tue parole eravate una”. Il mondo si fa “stretto” e il tempo stesso fa paura, come se in un’ora imprecisata scattasse il countdown che non consente altre occasioni, altra vita. Il punto focale è in un topos preciso, l’evocazione: di un passato intermittente, climatico, così come di un varco per porre una domanda di natura esistenziale. Evocazione di un mondo visto dal basso, di un certo gusto impressionistico, ma anche di una diaspora, di un destino sacro e sconosciuto. Eliza Macadan non si accontenta mai di una visione realistica, parziale. La morte è un qualcosa di insanabile, ma il verso allude ad una responsabilità verso tutto ciò che è precario, fragile, da congedare: “cade sul raggio / di sole / l’infanzia / sotto terra / parla le lingue / quando la chiesa / annuncia che i cimiteri / sono pieni / dalla campana / cade la morte / come briciola dalla barba”. Riannodando il filo con la precedente raccolta Il cane borghese (La Vita Felice 2013), in una visuale d’insieme, viene messa in scena una natura autoriflessiva nella volontà di intuire il senso ultimo dell’esistenza, di pari passo con la presa di coscienza della verità, o meglio di un’ipotetica verità. La poesia, sostanzialmente, si abilita per assumere il ruolo di mezzo inattaccabile senza essere un meccanismo concettuale, piuttosto una coabitazione di corpi e di spirito in equilibrio. Il verso si riempie di una vera e propria costellazione, di un cielo mai uniforme, composto di punti luce, di variazioni di magnitudine, di opacità (“le strade non hanno più nomi / agli angoli ci sono numeri dispari / accendo l’acquario di Natale / i pedoni calcano le mani nelle tasche / al semaforo l’aria mobile / sta con la maschera sul muso”). Le figurazioni nascono da un sentimento animistico, da una spontanea determinazione, da un picco che si staglia in un orizzonte complesso, gravitante. Si pensi a versi come: “mille e una porta / strangolano la città / la Madonna / getta giù / l’oro dalle icone / la fame uccide i bambini…”. Anestesia delle nevi rivela, infine, uno strumento linguistico per annientare il dolore. Nell’inverno la perdita reversibile delle sensazioni fisiche porta ad uno stato di veglia, di semicoscienza. In questa sedazione autoindotta, in una sorta di valenza compensativa, isolandosi, Eliza Macadan sa guardare con occhio infallibile, con un’accensione emotiva che supera la soggettività momentanea e inquadra gli archetipi di sempre.

Alessandro Moscè

ELIZA

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