JULIO CORTÁZAR PERSECUTORE DELLE OMBRE

Rileggendo Julio Cortázar si afferrano delle sottigliezze volutamente nascoste in un parossismo tipico della scrittura più concettuale, che potrebbero sfuggire d un prima lettura. Il tempo e il suono: sono queste le due ossessioni, amalgamate tra reale e fittizio, nel romanzo Il persecutore rieditato da Einaudi nel 2017 (fu pubblicato per la prima volta nel 1959). Lo stesso Cortázar, nato in Belgio, naturalizzato francese, ma di origine argentina, ha sottolineato il distacco dal mondo fantastico che è stato di Borges, per approdare ad un tipo di narrativa in cui la figura centrale è l’individuo, il personaggio con i suoi vortici. Cortázar, in questo caso, voleva scrivere qualcosa sullo spirito dell’artista e ci è riuscito pienamente. Johnny Carter (Charlie Parker) e Bruno, critico musicale, si incontrano come le loro personalità: una creativa, l’altra illuminista. Tra tempo e suono si dipanano molte associazioni mentali. Scrive Julio Cortázar: “Non so dirlo meglio, è come una cognizione di quanto improvvisamente nella vita di un uomo si inneschino associazioni spaventose o stupidissime, senza che si sappia quale legge, diversa dalle leggi censite, stabilisca che a una certa telefonata seguirà immediatamente l’arrivo di nostra sorella”. C’è qualcosa di misterico e sfuggente nel libro, come se il tempo e il suono non abbiamo una destinazione, ma siano, oltre che invisibili, imperscrutabili. Fino a che questo spaesamento diventa quasi cosmico, una mania che costella la vita dei personaggi negli interrogativi, nel dolore, nel tentativo di capire e di capirsi. Iperromanzi o antiromanzi, ha detto la critica: di certo Cortázar ha donato sempre qualcosa di avviluppante tra dubbi, intoppi, estraneità. I suoi protagonisti non si danno pace e Charlie Parker è l’emblema di questo rovello interiore, tanto da diventare egli stesso persecutore di un’ombra, di una complessità trasmessa nella musica, nella domesticità di chi dorme o fa finta di dormire, lasciando l’altro, chiunque sia, fuori dal suo universo ovattato. Miserabile ma poetico, malato ma talentuoso: le dicotomie fanno parte della caratura di chi è semplicemente diverso (segreto, irritante ecc.). Johnny è un angelo dannato tra gli uomini, ma chi lo conosce finisce per rimanerne infatuato. Carlo Boccadoro, nella prefazione a Il persecutore, parla di un dietro la maschera, di scambio di ruoli, anche di pseudonimi. Non è questo, in verità, un modo per sfuggire dalla propria persona per essere altro da sé? Il tema del doppio, un archetipo della letteratura, si fa strada tra la pagine di Julio Cortázar e in chi, come Bruno, inquadra Johnny tra “pezzi di cose che transitano”, mentre per lui, un caso paradigmatico di conformista, la moglie e il lavoro sono punti fermi. Resta la genialità di Parker, il rinnovamento del linguaggio jazzistico, la volontà di sconvolgere il passato, pur senza definirsi rivoluzionario. Bruno seziona i dettagli dell’amico-nemico come estrapolandoli dalla lente di un microscopio.

Alessandro Moscè

 

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