ISTRUZIONE E FORMAZIONE, UGUAGLIANZA E MERITO

Sono giorni convulsi per la politica italiana, specialmente quando si tratta di dare definizioni credibili e di fare le dovute distinzioni nell’ambito della scuola e dell’università, dell’istruzione e della formazione, dell’uguaglianza e del merito. Procediamo con ordine. L’istruzione è senz’altro un tema caldo, sempre attuale, che attiene al mondo della scuola obbligatoria, mentre quello della formazione, seppure non per definizione, lo accostiamo soprattutto all’apprendimento universitario. Si è molto parlato di uguaglianza e di merito come fossero elementi incompatibili o addirittura contrapposti. Niente di più falso. Se è ragionevole pensare al diritto di studio appannaggio di tutte le fasce della popolazione, disconoscere il merito è quanto di più sbagliato possa avvenire. Uno dei grandi mali dell’Italia è proprio questo: non separare il grano dall’oglio, l’eccellenza dalla mediocrità, il valore superiore da una condizione di equilibrio. Ha ragione la scrittrice Dacia Maraini nel dire attraverso le pagine del “Resto del Carlino”, in una recente intervista, che la burocrazia e la persistenza di logiche di potere ereditarie sono una logica aziendale che non dovrebbe applicarsi all’istruzione, perché la scuola non produce merce da vendere. Dunque è positivo che nel ministero dell’Istruzione sia stata inserita la dicitura Merito. E non si venga a dire che la meritocrazia è un concetto astratto, chiuso in una torbida élite. Alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica, con l’insediamento del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nessuno ha messo in luce lo scandalo delle università, dove i concorsi sono pilotati e dove i migliori elementi sono spesso allontanati e umiliati. Provate a dire il contrario. Il familismo non esiste solo nella politica e la dissipazione della qualità è all’ordine del giorno negli ambienti dove si dovrebbero premiare i più bravi. Adempimenti, titoli, competenze, pubblicazioni ecc. risultano inutili, come lo sono nella maggior parte dei concorsi pubblici. Ricordo il mio primo giorno di lezione all’università, quando un celebre costituzionalista e giudice togato di Cassazione disse in un’aula affollata: “Ricordatevi che qualunque concorso pubblico farete vi fregheranno”. Non tocchiamo l’argomento dell’educazione nelle scuole inferiori, che è del tutto assente, sia per la pochezza dei programmi ministeriali che per l’orientamento degli insegnanti, contrastati dai genitori e dagli alunni come fossero dall’altra parte della barricata in una scuola fondata ancora sul nozionismo, asettica e incapace di cogliere le predisposizioni naturali dello studente, nonché imperniata sull’esito utilitaristico: il voto, la promozione, il diploma. Ditemi voi: qual è il contenuto reale di un’educazione scolastica? Qualcuno dei politici di destra e di sinistra ha mai parlato di principi morali, di stili di comportamento, di stimoli derivanti dai modelli? Resta il fatto che la metà degli ragazzi di quindici, sedici anni, non riesce a comprendere il significato di un testo. Dunque la svalutazione del merito non andrebbe nemmeno messa in discussione. La conoscenza e il sapere sono progressivamente declassati in una società sempre più dedita alla visibilità e all’esibizionismo, confondendo l’informazione spicciola con il sapere, con lo studio sistematico. Mi meraviglia che in un editoriale sul “Corriere della Sera” di giovedì 27 ottobre Ernesto Galli della Loggia abbia posto il problema di come il merito debba essere costruito, di quali siano i contenuti essenziali. Basterebbe evitare i concorsi manipolati, seguendo il modo più lampante e appropriato di valutazione. Mi è stato riferito che negli anni Ottanta fu negata una cattedra universitaria al Premio Nobel per la Fisica Carlo Rubbia (eravamo nel 1984), in un’università dove l’ultimo entrato era un parente stretto del sindaco. L’uguaglianza non va di pari passo con la competenza, il merito certamente sì. Dentro e fuori gli atenei. Non è caso che la fuga dei cervelli, in Italia, sia determinata da giovani che non hanno scelto, ma sono stati costretti, ad emigrare all’estero. Su un totale di circa 7,5 milioni di laureati, nel 2020 ne sono emigrati all’estero 31 mila (4,2 ogni mille laureati). Non ci sono posti per la ricerca perché il sistema è sbagliato: a cinque anni dalla laurea i giovani espatriati guadagnano il 61% in più rispetto ad un connazionale rimasto in Italia e a pari titolo di studio. Giuseppe Conte del Movimento 5Stelle, che dall’università proviene, dica questo, e lo dica anche Enrico Letta, il segretario pro tempore del Pd, tralasciando la retorica della generazione perduta se appartenente ai ceti sociali più deboli. Ci si occupi della scarsa valorizzazione dei titoli di studio, della penalità di un giovane laureato italiano che ha un minor vantaggio economico. Apprendo dall’Istituto Treccani che in Germania e Francia il guadagno derivante da una laurea è pari a circa 280mila e 300mila dollari: quasi il 50% in più rispetto al dato italiano.
Ci piace sottolineare un esempio in controtendenza, quello del grande economista Federico Caffè, sparito senza lasciare tracce il 15 aprile 1987. Gli allievi di Politica Economica e Finanziaria dell’Università La Sapienza di Roma hanno setacciato la città alla ricerca del loro amatissimo docente del quale non si seppe più nulla. Caffè è stato il maestro di Mario Draghi, Ignazio Visco, Enzo Tarantelli, Giorgio Ruffolo, Bruno Amoroso. L’economista Daniele Archibugi, che ha insegnato nelle università del Sussex, a Madrid, Napoli,  Roma La Sapienza, Roma Luiss, Cambridge, London Scholl of Economics and Political Science ad Harvard, presso l’Università del Sussex, oggi è professore di Innovation, Governance and Public Policy presso l’Università di Londra, Birkbeck College. Nel libro Maestro delle mie brame (Fazi, 2022) racconta il suo straordinario mentore: Federico Caffè era un insegnante autorevole, morigerato, modesto, generoso, affettuoso. Ha dedicato la sua vita agli studenti. E’ curioso constatare che delle migliaia di giovani che si sono laureati con Caffè, molti di questi occupano ruoli di primo piano nelle istituzioni. Nessuno ha mai ricevuto un avviso di garanzia. Torneremo a parlare di quest’uomo che ha incarnato la ricerca e la cultura ad uno scopo sociale.

Alessandro Moscè

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