La brutale vicenda di Civitanova Marche accaduta il 29 luglio ha scatenato una valanga di commenti improntati sul biasimo, sulla vergogna, sul disagio, sulle scuse della collettività affidate ovviamente alle istituzioni politiche e religiose. La vittima è un 39enne nigeriano, Alika Ogorchukwu, colpito per strada, davanti a tutti, con la stampella che usava per sorreggersi e fare l’elemosina. In stato di fermo un italiano originario della Campania, che ha perfino rubato il cellulare della vittima. Qualcuno ha immediatamente individuato un atto discriminatorio, persecutorio, razzista. Nel nostro Paese vengono uccise decine di persone al mese, italiane e non, soggetti deboli, poveri, soli, per ragioni futili e del tutto incomprensibili. Il nigeriano è stato freddato nella via principale di una tranquilla città sul litorale adriatico. Non ci meravigliamo. Ormai si spara anche nelle discoteche e nei ristoranti, un po’ dappertutto. L’aspetto più agghiacciante risulta l’indifferenza dei passanti che non hanno agito per evitare la tragedia. Si sono immediatamente calati nella parte di una finzione cinematografica, nel ruolo di spettatori passivi, incuriositi, e hanno ripreso la raccapricciante scena con gli smartphone. Quelle persone erano emotivamente assenti, detronizzate. Eppure si sono catapultate come fossero parte della trama e del cast di un thriller del catalogo Netflix. L’impressione è che l’abitudine ad incamerare scene grottesche e violente abbia assegnato l’uomo del Duemila ad una costante realtà digitale, replicabile. La realtà reale non ha più i connotati di ciò che accade dinanzi ai nostri occhi (impermeabili), ma di ciò che cristallizziamo in un’asocialità patologica. Perdiamo ogni stimolo, compreso quello del pericolo, purché l’ambiente virtuale ci restituisca un diversivo. Ci priviamo di noi stessi per collegarci ad un dispositivo dove prevalgono le vite degli altri. L’interazione con un mezzo elettronico altera ogni accadimento, lo filtra, lo fa immagine cruda. Il nigeriano steso a terra, in effetti, non era altro che un’immagine bestiale da intrappolare nella rete. Passa in secondo piano l’aggressività, la violenza, perfino la morte. E’ assurdo che nessuno, a Civitanova, sia corso ad evitare il peggio, che nessuno abbia dissuaso l’omicida. Questa è la vergogna civile che la giustizia italiana non potrà mai ripagare: la sopraffazione è anche di chi si ha immortalato il pestaggio. Non siamo una comunità solidale, né inclusiva, a differenza di quanto dichiarato dal Governatore delle Marche Francesco Acquaroli. Siamo cittadini imperturbabili, aridi, immiseriti. Il corpo inerte di Alika che “era buono e non cercava mai guai”, come testimoniato da chi lo conosceva bene, è rimasto davanti ad un negozio per cinque ore, cinque lunghe ore. Scriveva il Premio Nobel José Saramago: “Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che vedono, ciechi che, pur vedendo, non vedono”.
Alessandro Moscè