L’ELMO DI BRONZO DI ALEX ZANARDI

Alex Zanardi è un eroe battagliero, valoroso più di Ronaldo, di Federer, più di un soldato in guerra nella devastata Libia. Lo è perché ha dato voce ad un mondo sommerso, spesso esiliato. Una volta avremmo definito un uomo senza gambe un infelice, oggi è un campione sportivo e mediatico a tutti gli effetti. Perché Alex Zanardi ha rovesciato i luoghi comuni, ha soppiantato la misericordiosa concezione dell’uomo sfortunato ed è diventato il vessillo della riscossa. Per questo non dovrebbe morire e per questo dovrebbe tornare ad essere il campione che è stato fino ad un mese fa. Il secondo incidente, paradossalmente, ne rafforza la riproduzione dell’invincibile che ingaggia duelli tremendi con il destino. Zanardi, da ieri, è stato trasferito in un centro specializzato dove proseguirà il percorso di recupero. Le sue condizioni rimangono stabili e gli apparati cardio-circolatori e respiratori rispondono pienamente. C’è un cauto ottimismo anche sulla possibile ripresa delle funzioni neurologiche dopo la diminuzione della sedazione. Gli italiani, non solo i paraolimpici, rimangono stupiti dalla resistenza attiva di Zanardi. I medici, nei bollettini, lo appellano “l’atleta” per la sua fibra eccezionale. E’ un eroe, dicevamo, di quelli che non ti aspetti. Un’immagine che sembra desunta dalla mitologia greca, dal racconto degli dei. Un soggetto omerico, Achille alimentato con il midollo del leone. Agile e veloce, nonostante la menomazione. Alex Zanardi che respinge perfino la freccia avvelenata sul tallone, quel furgone contro il quale è andato ad impattare, che non ne ha causato il decesso. Forse si sarebbe arreso chiunque: lui no, come avesse avuto un elmo di bronzo e non un casco leggero a proteggere la nuca. Una volta disse con una calma proverbiale: “Non devo dimostrare niente a nessuno”. Zanardi e la sua incalcolabile motivazione, la sua inscalfibile fiducia, il suo indomito coraggio, ora stretto nelle mani del figlio in un letto ospedaliero, con una moglie che siede al suo capezzale e che non piange mai. Zanardi non è un esempio compassionevole, è l’incarnazione dell’ultimo immortale, l’highlander uscito dall’epica del film del 1986 diretto da Russell Mulcahy. E’ il cavaliere accerchiato ma ricompensato per vivere più esistenze terrene. Un maestro di armi corporali. Zanardi ha dimostrato che il fisico supera la mancanza degli arti inferiori con la naturalezza e non con l’artificiosità. Nel luglio del 2000, dopo aver ricevuto l’estrema unzione, subì quindici operazioni. Può succedere a chiunque, ma il bolognese, ex pilota automobilistico, è stato capace di rialzarsi e di aggiudicarsi quattro medaglie d’oro ai Giochi Paraolimpici  di Londra nel 2012 e a Rio nel 2016, nonché otto titoli ai Campionati mondiali su strada. Scrisse Albert Camus: “Nel bel mezzo dell’inverno ho infine imparato che vi era in me un’invincibile estate”. Alex Zanardi è un sole che non tramonta in un luglio contagiato dalla pandemia. Un sole che scalda, che irradia: il  Dies Natalis Solis Invict trasformato in un culto.

Alessandro Moscè

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