L’ITALIA INCIVILE E’ COME L’ITALIA RAZZISTA

Imbrattare una statua è un gesto da incivili perseguibile penalmente. Imbrattare la statua di uno dei massimi giornalisti del secolo scorso, è anche un atto di cattivo gusto. Indro Montanelli non era razzista (altrimenti non avrebbe sposato la ragazzina di colore, verrebbe da dire) e non era pedofilo (brutta infamia). Non era misogino, né schiavista, né soverchiatore. La vicenda che lo riguardò si svolse nel 1935, quando aveva 26 anni: fu volontario nella guerra coloniale di Eritrea imposta da Mussolini e durante il soggiorno africano acquisì una giovanissima moglie di 14 anni chiamata Destà, che fungeva da cameriera portando la biancheria e da compagna d’alcova. Il contratto di madamato era una legge del luogo che prevedeva che il marito dotasse di denaro e di un’abitazione la moglie, come facevano tutti gli altri commilitoni. Le ragazzine di 14 anni, in gran parte e con il consenso dei genitori, avevano già i figli. Poco dopo l’episodio Montanelli tornò in Italia e un suo sottoposto gli chiese di poter sposare Destà. Il giornalista acconsentì. Destà ebbe un figlio e lo chiamò Indro. Si incontrarono nel 1952, durante un viaggio in Etiopia di Montanelli, che non spese mai parole di pentimento. Raccontò più volte la vicenda sottolineando le usanze dell’epoca. Tutto questo, va detto, lo sappiamo solo perché lo disse Montanelli. Non c’è differenza tra l’Italia incivile e l’Italia razzista. Adesso qualcuno vorrebbe la rimozione della statua eretta nei pressi del luogo dove i brigatisti rossi spararono alle gambe di Montanelli e l’altro ieri un non indentificato gruppo di studenti ha vandalizzato la statua con della vernice rossa, compiendo un reato, non una banale ragazzata, come afferma l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini che fece costruire quest’opera bronzea. Pretendere la rimozione per una ragione mistificatoria, è un atto sbagliato, così come mettere in discussione il rigore di Indro Montanelli, che si distinse sempre per la sua libertà e serietà professionale, tanto da lasciare “Il Giornale” nel 1994, in aperto contrasto con Berlusconi che intendeva modificare la linea editoriale. E’ stato un grande storico e memorialista, un uomo che rispondeva solo al lettore, tanto che Enzo Biagi disse: “Era il suo vero padrone. E quando vedeva lo strapotere di certi personaggi, si è sempre battuto cercando di rappresentare la voce di quelli che non potevano parlare”. Adesso va di moda uno strano revisionismo che nasce dal basso, fazioso, ipocrita e violento. Va di moda disconoscere i valori culturali più che quelli morali non sapendo nulla del passato, delle fasi che hanno contrassegnato i travagli dell’Italia del dopoguerra (figurarsi quelli legati al passato remoto). La statua di Indro Montanelli non può catalizzare l’attenzione degli italiani di fronte ad un paese che sta sprofondando. E non si capisce, peraltro, perché il matrimonio con l’abissina dovrebbe suscitare tanto scandalo proprio nel 2020, quando il fatto è noto da decenni e suscitò un certo scalpore mediatico già nel 1972. Il dibattito è privo di novità, con punte di oltraggio e usurpazione. Si vuole emulare i manifestanti che hanno coperto di volgarità i monumenti a Robert Lee e a Jefferson Davis, simboli delle divisioni razziali in Virginia. Indro Montanelli avrebbe commentato: “La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi”. Dopodiché avrebbe chiesto lui stesso la rimozione della statua, perché non amava le celebrazioni e le icone.

Alessandro Moscè

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