GLI ANZIANI LASCIATI MORIRE

La pandemia da Covid 19 è stata, finora, soprattutto una resa della popolazione più anziana. Se esistesse ancora un giornalismo d’inchiesta diffuso un po’ ovunque, ci sarebbe da rimanere allibiti. Anziani trasferiti da una struttura all’altra per far posto ai malati e lasciati morire soli, abbandonati. Se negli ospedali potevano usufruire di ventilazione e ossigeno, all’arrivo di un paziente più giovane, la strumentazione medica veniva tolta all’ottantenne trasferito in degenza ordinaria e lasciato miseramente spirare. Conosco medici e operatori dell’emergenza che possono dare testimonianza di una decisione drastica, che fa venire la pelle d’oca. Anziani ingombranti, invadenti, di troppo. La tragedia è avvenuta per impreparazione, errori e negligenza in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Marche ecc. E mancano ancora i numeri del cosiddetto sommerso, di ciò che non sappiamo, di morti avvenute in circostanze mai chiarite. Anche procurare una mascherina, a marzo e ai primi d’aprile, sembrava un’impresa disperata. Al Pio Albergo Trivulzio e altrove hanno bussato i funzionari della polizia giudiziaria, dove si procede con l’iscrizione nel registro degli indagati dei vertici delle residenze. Quanto peso specifico ha una persona anziana rispetto ad un adulto o ad un giovane? Quale coscienza può far propendere per un sì e per un no, salvando o condannando un uomo o una donna come in una conta divisoria? Perché tutto questo ritardo nel reperimento delle protezioni individuali, dopo giorni e giorni di emergenza sanitaria? Gli inquirenti stanno lavorando su più fronti: dalle centinaia di morti per Covid 19, fino all’assenza di tamponi e di mascherine all’interno delle Rsa, passando alle presunte minacce degli infermieri che utilizzavano personalmente il prezioso tessuto che copre naso e bocca. Per non parlare di eventuali omissioni nei referti e nelle cure fornite. Nella sua previsione da scrittore, Philip Roth aveva ragione nel dire: “La vecchiaia non è una battaglia, la vecchiaia è un massacro”. Eppure molti vecchi sono attivi, utili. Nessuno limiterebbe la libertà di un anziano, i suoi diritti a prescindere: nel 2020 l’ottantenne non è una stella cadente e desidera vivere a lungo. Torniamo da dove eravamo partiti. Nessuno si indigna per ciò che è successo durante la pandemia. L’Italia non scende in piazza, non reclama, non alza la voce. Penso alla scrittrice Luce d’Eramo e al suo splendido romanzo, anche d’accusa, dal titolo Ultima luna (Mondadori 1991). E’ la storia di Alfonsina, figlia di un giornalista famoso, ricoverata in una casa di riposo a Frascati. La protagonista reagisce sempre agli eventi negativi, tanto da proporre al figlio in arrivo da Tokyo, la dottoressa che si occupa di lei. Alfonsina pensa immaginando l’amore, esce dal suo luogo di reclusione, pianifica. Non si sente né esclusa, né fatalmente al termine dei suoi giorni. Guarda al futuro, nonostante intorno a lei ci siano “sfascio fisico e clisteri”. La vecchia è difficile da affrontare, ma anche chi è relegato ai margini non soccombe nella perdita di senso. Luce d’Eramo era nata nel 1925 e nel 1945, dopo i bombardamenti a Magonza, mentre aiutava a scavare nelle macerie, un muro le crollò addosso riducendola in fin di vita e lasciandola paralizzata alle gambe. Si sposò, ebbe un figlio. Asserisce: “Il nostro consumarci è il nostro durare. Nulla scorre nella vita, tutto resiste”. Ultima luna è la rivendicazione di una vita scabra e mai satura. La stessa di molti morti per un’epidemia dalla quale dovremmo guarire non solo fisicamente.

Alessandro Moscè

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