IL GRANDE MEGAFONO

Il diffondersi del Coronavirus dimostra che l’Italia vive di continue fughe in avanti, di improbabili autocelebrazioni e di sciacallaggio politico. Come altre malattie respiratorie, l’infezione può causare sintomi lievi: raffreddore, mal di gola, tosse e febbre. Oppure sintomi più severi quali polmonite e difficoltà respiratorie. Raramente può essere fatale. Di fatto non sappiamo se il batterio sopravviva per ore sulle superfici e genericamente si constatano lacune sulla prevenzione e sul trattamento della malattia. Nelle Marche il presidente chiude le scuole, il governo fa ricorso al Tar, lo vince e le scuole riaprono. Dopo un’ora un’ordinanza del governatore locale ribalta la sentenza. In questa confusione schizoide, da quadro morboso quanto il Coronavirus, in Lombardia il presidente Attilio Fontana indossa una mascherina mentre parla in televisione. Si sarebbe messo in quarantena. La mascherina non solo è indossata male, ma non previene dalla propagazione del virus, per cui dovrebbe essere utilizzata solo dai malati accertati. I tamponi sono uno strumento indispensabile per individuare in fase precoce l’infezione, ma è pur vero che qualunque organizzazione che proceda in tal senso non sarebbe sostenibile perché i distretti sanitari si intaserebbero precludendo gli interventi urgenti. Il reale pericolo è diventato il carico di lavoro e i pochi reparti assistenziali adeguati qualora crescano i casi gravi per i quali è necessario approntare una terapia intensiva. Come mai l’Italia non riesce ad avere una linea d’indirizzo condivisa, non approssimativa e soprattutto certificata, affinché i presidi ospedalieri lavorino nelle migliori condizioni? Perché siamo un popolo megafono, arruffone, mattatore, straripante, mal disposto a ricevere un precetto. Tutti chiacchierano, tutti presumono, famelici di approvazioni. Scriveva Natalia Ginzburg che “l’Italia è un paese pronto a piegarsi ai peggiori governi, dove regna il disordine, il cinismo, l’incompetenza, la confusione. E tuttavia, per le strade, si sente circolare l’intelligenza, come un vivido sangue. È un’intelligenza che, evidentemente, non serve a nulla”. Non si salva la gestione della sanità, ma i primi imputati sono i politici, specie nelle aree geografiche dove a breve si voterà. Il senso del comando fa usare mezzi inappropriati pur di ribadire una supremazia e pur di acquisire visibilità per un articolo e un’intervista in più. In questo circo mediatico la gente si sente disorientata e cresce il sospetto che i nosocomi non siano in grado di curare adeguatamente. E’ un’impressione sbagliata. I medici sono la parte migliore del paese (quell’intelligenza a cui alludeva Natalia Ginzburg), mentre l’informazione è in mano a 110.905 iscritti all’ordine dei giornalisti. Molti di questi sono senza una comprovata qualifica ed esercitano il mestiere saltuariamente. I sindaci, i consiglieri di partito, gli assessori e i presidenti di vari enti smaniano pur di apparire in prima pagina. Bisognerebbe proteggersi non solo lavandosi spesso le mani dopo aver tossito e starnutito, dopo aver assistito un malato, prima durante e dopo la preparazione del cibo, prima di mangiare, dopo essere andati in bagno ecc., ma incominciando a selezionare rigorosamente le voci dei tanti parlatori a sproposito con l’altoparlante in mano. Intanto continua la serrata di scuole, università, chiese, palestre, luoghi del divertimento e della cultura. Un vuoto cosmico si impadronisce delle città e le rende metafisiche come certi quadri di Giorgio de Chirico in cui le muse inquietanti si spostano disordinatamente in una sequenza solitaria, ignota.

Alessandro Moscè

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