NON RAZZISMO MA PRIMITIVISMO ANARCHICO

L’Italia si è rivelata, nel secondo Novecento, un Paese piccolo-borghese al quale si è contrapposta una duplice società, proletaria e radical chic, di sinistra, detentrice del patrimonio della cultura. Se il potere democristiano (occidentale) ha tenuto le redini della società economico-imprenditoriale, produttiva, il Partito Comunista, minoritario, perché non fosse tentato dal promuovere una pericolosa rivolta popolare guidata dall’influsso sovietico, ha avuto in mano il cinema, la musica, la letteratura, il teatro, l’editoria. L’uomo, nell’immaginario collettivo, è stato soppesato in base al guadagno mensile, al possesso di beni per un puerile accreditamento. Nell’epoca del capitalismo, a partire dal boom economico degli anni Cinquanta fino agli anni Novanta, siamo stati abituati a svalorizzare la conoscenza, il sapere, in ragione della proprietà e della ricchezza. L’intellettuale non ha mai inciso sui grandi cambiamenti epocali, spesso organico ai partiti o del tutto alienato nella sua creatività senza alcun prezzo. La borghesia italiana, come diceva Alberto Moravia, ha germinato un movimento conservatore, il fascismo, dove ha regnato l’immoralità. L’impressione è che la stessa cosa sia avvenuta negli anni successivi: l’universo borghese ha alimentato specie estraneità e corruzione. Lo stesso Moravia nei romanzi Gli indifferenti, Agostino e La noia ci dimostra come il denaro e il sesso siano gli strumenti per possedere le persone e non solo gli oggetti. Oggi che la distinzione in classi sociali è venuta meno, come l’appartenenza residuale alla destra e alla sinistra del secolo breve, seppure si dividano ancora gli schieramenti in base a vecchi schemi, le nuove povertà hanno catalizzato sia i figli della ex borghesia che i figli dell’ex proletariato. Se la società dei consumi li aveva stereotipati e uniformati (Pier Paolo Pasolini), quella della disoccupazione li riunisce nella nevrosi del nuovo millennio, nel malessere dell’inerzia. Dalla noia all’ansia, il desiderio della ricchezza rimane però inossidabile. Nessuno vorrebbe rinunciarci, fino al punto che la proprietà privata legittima ancora ad occupare i ruoli pubblici di prestigio, uno scranno in Parlamento, la presidenza di un ente privato, indipendentemente dalla meritocrazia, dalla competenza. Francesco Alberoni, qualche tempo fa, scriveva sul “Giornale” che continuiamo a immaginare “gli sceicchi arabi che hanno aerei privati, che vivono in palazzi con rubinetti d’oro, con mogli e concubine. E in modo analogo sono visti i famosi divi di Hollywood e i super miliardari americani che passano il loro tempo in yacht favolosi e in ville lussuose, dove, insieme a donne bellissime, bevono bibite ai bordi della piscina e si spostano da una festa notturna all’altra”. Ma questa percezione è sbagliata, perché nell’età post-capitalista nessuno sopravvive al passato. All’eredità fiorente di una famiglia si sostituisce una continua conquista individuale, solitaria. Oggi la distribuzione ineguale della ricchezza rappresenta l’indice di disuguaglianza del reddito disponibile, dicono gli esperti. Si tratta di un valore utilizzato come riferimento per valutare il benessere della popolazione e definisce la distanza fra i più ricchi e i più poveri, nonché il divario che separa il 20% della popolazione con il reddito più alto dal 20% con quello più basso (sostanzialmente la differenza che intercorre tra i pensionati e i giovani). Cosa resterà dell’Italia della crisi tra venti anni, quando saranno venuti a mancare i nonni e i padri più anziani? Azzardiamo una previsione. Non più l’ideologia, il partitismo, l’agiatezza. Meno che mai la prosperità. Aumenterà il sovranismo, lo scontro di civiltà, mentre diminuirà la sicurezza sociale (esattamente come sta avvenendo in alcuni paesi orientali e nell’Africa delle guerriglie). Come a dire che il futuro sarà altrove, traslocato in un nuovo ordine mondiale. Perché quando si perde il capitale, sono i flussi migratori l’alternativa alla povertà di casa nostra. Si salverà parte degli italiani con un titolo di studio spendibile nella liberal-democrazia occidentale degli stati-guida. Dal nord al sud registreremo, viceversa, un primitivismo a tinte fosche e dagli impulsi anarchici (non razzisti) che contagerà la maggioranza residente.

Alessandro Moscè

 

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