Il 90% degli italiani tifa Croazia nella finale del campionato del mondo più fisico e meno spettacolare che si sia visto negli ultimi anni. Un mondiale dove l’atletismo e la vigoria fisica hanno prevalso sul talento e l’estro, tanto che le stelle Messi, Ronaldo e Neymar non sono riuscite a trascinare le loro squadre, favorite per la conquista del titolo e uscite mestamente dal torneo. L’Italia si schiera tutta con la Croazia, con un popolo di 4 milioni di abitanti, piccolo e grande, questa sera. Cosa ci spinge a derubricare la Francia? Intanto si è portati naturalmente ad appoggiare chi sulla carta appare più debole (diceva Cesare Pavese che c’è un conforto a pensare che la debolezza può essere una forza). Il gigante Golia contro un Davide battagliero, temprato dalla guerra, da un territorio dilaniato, diviso. La ex Jugoslavia è ora un paese di nazioni indipendenti, dove i croati, nel conflitto dei Balcani, hanno visto ammazzati i propri cari sotto gli occhi, compreso il capitano Luka Modric, ex rifugiato, un inesauribile motorino che scorrazza per il campo a doppia velocità, recupera la palla, cuce l’azione e rilancia con i denti stretti. La Croazia gioca un calcio improvvisato e instancabile, fatto di fiammate all’attacco partendo dalle corsie laterali, di combattività in mezzo al campo, di rimessa in difesa. Per molti la Francia, in Russia, è solo il volto inviso di Emmanuel Jean Michel Macron, il nemico per eccellenza dell’Italia salviniana, il superbo europeista che pensa al suo paese e non agli altri, che non condivide nulla e che non canterebbe il refrain “fratelli per la libertà”, come sono soliti fare gli slavi meridionali, neanche il giorno della grande ricorrenza del 14 luglio. Si tifa Croazia perché l’Europa ha fallito la sua missione di consegnarci uno sviluppo progressivo e perché l’idea di unità tra i popoli è solo un auspicio sprovvisto anche di apparati burocratici che decidano collegialmente, oltre che di ideali. Dove si è più piccoli, frazionati, nazionalisti, si vince. La Francia leziosa e griffata teme chi è nato sotto i colpi delle granate. La Croazia degli ustascia di Ante Pavelic, è un territorio costruito con fatica, ma con la fierezza dei suoi abitanti che vogliono la normalità per le famiglie e i figli, dopo tanto orrore. Nell’ottobre 1990 la partita tra una selezione di calciatori croati e la nazionale statunitense fu considerata una grande vittoria diplomatica dei secessionisti. Il calcio, in Croazia, non è solo un gioco: è orgoglio e rivendicazione, è identità e desiderio di benessere espressi davanti al mondo più che in ogni altro paese balcanico. Nella percezione dell’italiano, specie se giovane e stizzito, che vota Lega e Movimento 5 Stelle, questi concetti elementari pagano.
Alessandro Moscè