UNO NON VALE UNO

Oggi, sul “Giornale”, Francesco Alberoni, che citiamo ancora una volta, in un articolo dal titolo “I bulli che umiliano la cultura”, mette in luce la tendenza, una delle tante, dell’Italia di questi anni. E’ probabile che l’orizzontalità della comunicazione online, che concede il diritto di parola a chiunque, abbia facilitato la diffusione dello sbaglio: passa il concetto disastroso e anarchico per cui “uno vale uno”, per cui il fannullone e lo scienziato, l’inesperto e il tecnico, sono messi sullo stesso piano. Niente di più assurdo, se pensiamo che grandi medici salvano la vita, che grandi biologi fanno scoperte, che grandi artisti fondarono il Rinascimento ecc. La cosa più utile, per gli italiani, è il sapere, però vituperato. Studiare o non studiare: cosa cambia, ci si chiede? Cambia moltissimo, perché la conoscenza è alla base del progresso umano. Uno dei danni procurati dal capitalismo è stato quello di misurare l’individuo sul suo possesso, sulla sua proprietà. “Voi provate a domandare alla gente che cosa desidera. Vi risponderà che desidera viaggiare, fare crociere, una nuova macchina, un nuovo televisore, una barca. Nessuno vi risponde che desidera imparare la matematica, il diritto, le lingue, la biologia o l’informatica”, scrive Alberoni. L’Italia non sa coltivare la meritocrazia. Se è sulle parole che bisogna intenderci, il populismo dilagante di cui ogni organo di stampa discute in questi giorni, produce incomprensione sul sostantivo e sull’aggettivo stessi. Viceversa il termine meritocrazia è chiarissimo. Si guardano i titoli, le competenze, le professionalità, le esperienze accumulate e si può fare la cernita di chi andrebbe promosso, sostenuto, valorizzato. L’ideologia da un lato e il partitismo della prima e seconda Repubblica, hanno causato la denigrazione o la sottovalutazione dell’altro, del non appartenente ad una cerchia, ad un gruppo. La verità è un’opinione confutabile e il bullo può sconfessarla quando vuole. Un’Italia moderna avrebbe bisogno di ripartire dalle riforme non solo istituzionali, ma di mentalità, perché non prevalga il più forte, ma il più bravo. Uno non vale uno, mai. “Dal merito si esige modestia, ma coloro che con immodestia sminuiscono il merito vengono ascoltati con piacere”, sosteneva Johann Wolfgang Goethe in Massime e riflessioni (1833). Sminuire, ridurre, fingere, infatti, è un vizio che si impone con facilità dal bar alle aule scolastiche. Ammettere un pregio individuale è sempre così difficile. Escludere piuttosto che includere, tagliar fuori e non selezionare con rigore: succede in ogni ambito lavorativo e non. E’ il potere degli uffici, purtroppo, di quella burocrazia grigia da passacarte che andrebbe debellata una volta per tutte. La persona capace è anche pericolosa e non incentiva alla stima. Ci rimettiamo tutti.

Alessandro Moscè

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