STEPHEN HAWKINS: UNA STELLA TRA I BUCHI NERI

“A metà strada tra la fede e la critica c’è l’ostello della ragione. La ragione è la fede in ciò che si può comprendere senza fede, ma è anche essa una fede, perché comprendere implica presupporre che esista qualcosa di comprensibile”. Questa affermazione di Fernando Pessoa, contenuta nel capolavoro Il libro dell’inquietudine (1982), potrebbe essere il testamento spirituale di Stephen Hawkins, l’astrofisico britannico appena scomparso. Piaceva fino al punto di entrare a far parte della cultura popolare per la sua capacità di fare viaggi interstellari stando fermo. Sembrava davvero che la costrizione in un mucchio di ossa e pelle raffermi, esaltasse la sua intelligenza e il suo muoversi tra lo spazio e il tempo davanti ad un solo sintonizzatore. Lo scienziato aveva rivisitato la cosmologia quantistica e formulato la teoria di un universo senza limiti. Hawkins era imprigionato nel suo corpo, ma studiava l’infinito, volava tra i buchi neri e li superava per vincere il senso di claustrofobia di chi è incollato ad una sedia. Il multiuniverso e l’evoluzione galattica ci spingono a pensare che l’uomo non abbia barriere mentali, che nessuno lo potrà mai fermare. Ma anche i muri fisici si possono superare se si è in grado di vedere oltre. La malattia degenerativa dei motoneuroni procedeva lentamente e non ha portato Hawkins ad una morte prematura, come predissero i medici. La natura non poteva sottrarre la sua incomparabile abilità e il servizio che avrebbe reso all’uomo. Hawkins piaceva alla gente anche perché sapeva comunicare con una semplicità disarmante. “Noi tutti, filosofi, scienziati e gente comune, dovremmo essere in grado di partecipare alla discussione del problema del perché noi e l’universo esistiamo. Se riuscissimo a trovare la risposta a questa domanda, decreteremmo il trionfo definitivo della ragione umana, giacché allora conosceremmo la mente di Dio”. Il mistero alimentava la sua ragione, ma la ragione non era immune ai condizionamenti del sentire, dell’emotività. Hawking sapeva trasformarsi da scienziato a filosofo. Pensava al trascendente, ai mondi abitati, alle conquiste intellettuali, alle leggi naturali che conosciamo e che non conosciamo. Era un uomo libero perché la sua mente era libera. Tanto che qualcuno ha immaginato che fosse una stella, come quelle che stanno in cielo e che non poteva vedere alzando il capo perché bloccato. Sapeva anche ridere, ironizzare. Doveva morire a 21 anni e ne se ne è andato cinquant’anni dopo. Il resto è stato un bonus, ha detto. La luce in cielo non si è spenta e ha continuato nella prospettiva di capire il mondo. Chi dirige il nostro universo? Né l’uomo, né Dio, per Hawkins, che sapeva che nessuno può spiegare l’esistenza di una mano divina, né negarla a priori. Dialogava con chiunque, a distanza. Negava e affermava. Era un pensiero fulmineo, un dono proveniente da chissà dove e ora diretto in un altro tempo e in un altro spazio. Un uomo con un’energia potente al pari della velocità della luce. Era lui la nostra fantascienza che esalta i bambini e affascina gli adulti. Era lui il primo mistero inintelligibile.

Alessandro Moscè

 

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