GESU’ E MARIA SDOGANATI DALLA PUBBLICITA’

Lo ha deciso una sentenza della Corte Europea di Strasburgo: Gesù e Maria possono essere figure utilizzabili nelle pubblicità. Nessuna offesa alla religione se il sacro diventa immagine per promuovere un prodotto: un’auto, un vestito, un paio di scarpe. La corte ha ricollocato Gesù e Maria alla stregua di due persone qualunque. Si può essere contrari o favorevoli, ma riteniamo che la pubblicità non sia un romanzo storico o un trattato di filosofia. Tanto meno una tela di Raffaello o di Piero della Francesca. Il sacro diventa quindi uno strumento, mentre finora era stato solo il fine. Si può scrivere un Vangelo apocrifo, dare una versione alternativa. La stessa Maria Pia Veladiano, scrittrice di successo, ha dichiarato: “La figura di Maria non mi ha accompagnato da bambina. L’ho scoperta da grande. In lei c’è questo folle, impensabile punto di unità fra Dio e uomo”. Il racconto è dentro un senso esclusivamente religioso. Il punto è questo: la religione cattolica può essere violata da un traino laico? Con Maometto non succederebbe. La pubblicità è in grado di svilire, ironizzare, imputare, dileggiare. Ha senso far indossare una maglietta sportiva a Gesù, o un paio di tacchi a Maria? L’utilizzo può non essere vilipendioso ma inadeguato. Si è appena conclusa una mostra dal titolo “La Devota Bellezza” nelle mie Marche (Palazzo Scalzi, Sassoferrato). Il grande Giovan Battista Salvi ritraeva la Madonna e il Bambino. Una Madonna umile, dolce. Quelle tele rappresentano la devozione, un’adesione formale allo spirito, l’incarnazione di una pratica di abbandono. Dio è in alto, in un cielo lindo. Traspare un sentimento di venerazione, eppure anche un legame terreno. La pubblicità senza limiti, fantasiosa o trasgressiva, tradirebbe la preghiera e la pietà. Dietrich Bonhoeffer, grande teologo, scrisse in Resistenza e resa nel 1951: “Non è possibile far comparire Dio come il tappabuchi dei nostri vuoti di conoscenza. Quando poi, come è inevitabile, i confini della conoscenza vengono spostati più lontano, si finisce per far retrocedere con quelli anche Dio, che viene a trovarsi in continua ritirata. Dobbiamo ritrovare Dio in quello che conosciamo, non in quello che non riusciamo a conoscere. Dio esige d’essere compreso da noi non nelle questioni irrisolte, ma in quelle risolte”. Sdoganare Dio nei cartelloni pubblicitari non potrà esprimere alcun Dio che conosciamo. A cosa serve farlo entrare nel consumismo che non è progresso, nella società liquida di Bauman, nell’ipertrofia dell’io degli uomini e delle donne del terzo millennio, sempre più nichilisti e virtuali? Sarebbe un Dio dal presente senza nome, dalle sensazioni immaginifiche nella tirannia dell’effimero. Non abbiamo bisogno di un Dio dell’intrattenimento.

Alessandro Moscè

 

 

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