EMANUELA ORLANDI: IL MISTERO DELLA RAGAZZA CON LA FASCIA

Domani Emanuela Orlandi avrebbe compito 50 anni. E’ ancora la vittima di uno dei gialli più complessi (tuttora irrisolto), della cronaca italiana dal dopoguerra ad oggi. La sparizione della giovane, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, è stata collegata al Vaticano, all’Istituto per le Opere di Religione (IOR), alla Banda della Magliana, al Banco Ambrosiano, ai servizi segreti di diversi paesi, al terrorista Ali Agca, a numerosi prelati italiani ecc. Era il 22 giugno del 1983, un giorno come un altro nel cuore di Roma. Faceva caldo, ed Emanuela, appena quindicenne, uscì dalla scuola di musica che frequentava in Piazza Sant’Apollinare. C’era traffico e la ragazza dalle fattezze assolutamente comuni, si incamminava nella zona di Roma che confina con Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica. Fu vista da un vigile urbano, per l’ultima volta, intorno alle 19.30, al fianco di un elegante signore. Poi più nulla. Domenica 3 luglio Giovanni Paolo II, durante l’Angelus, rivolse un appello ai responsabili della scomparsa della ragazza ufficializzando per la prima volta l’ipotesi del sequestro. Il 5 luglio giunse una chiamata alla sala stampa vaticana. All’altro capo del telefono un uomo, che parlava con uno spiccato accento anglosassone (e per questo venne ribattezzato “l’Amerikano”), affermò di tenere in ostaggio Emanuela Orlandi e chiese l’attivazione di un dialogo con il Vaticano. Chiamava in causa Ali Agca, il turco che aveva sparato a Papa Wojtyla in Piazza San Pietro due anni prima, invitando il pontefice ad un intervento diretto. L’8 luglio un uomo telefonò ad una compagna di classe di Emanuela dicendo che la ragazza era nelle loro mani e avanzò l’ipotesi di uno scambio con Agca, oltre a sollecitare una linea telefonica con il cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli. Depistaggi, insabbiamenti. Si finì per cercare Emanuela Orlandi anche nei sobborghi di Parigi, nei conventi della Colombia e in un istituto psichiatrico di Londra, ma non emerse nulla. Sono passati più di trent’anni da quel 22 giugno del 1983. La Roma di Falcao aveva appena vinto lo scudetto, la Lazio risaliva in serie A e i Righeira cantavano “Vamos a la playa”. C’erano ancora i jukebox e tra le ragazze andava di moda la permanente. Nei capelli non mancava la fascia elastica, che aveva anche Emanuela Orlandi. Nelle case, ormai, gli italiani possedevano tutti il televisore a colori. Le maglie extralarge cascavano sui leggings e non si era trendy se non si indossavano le spalline. Le calzature preferite dovevano essere basse, tipo scarpe da ginnastica, e le cinture in pelle venivano abbinate a fibbie enormi. Roma fu tappezzata di manifesti che ritraevano Emanuela: capelli lunghi, neri e lisci. Arriviamo al 2006, quando Sabrina Minardi, ex compagna di Enrico De Pedis (boss della Banda della Magliana) ed ex moglie di Bruno Giordano, centravanti della Lazio, rivelò agli organi giudiziari che la ragazza sarebbe stata uccisa ed il suo corpo, rinchiuso dentro un sacco, gettato in una betoniera a Torvaianica. Dal racconto emersero, però, molte incongruenze. In tutti questi anni è stato sostenuto che Emanuela fu vittima di un ricatto della Banda della Magliana che aveva investito del denaro nello IOR. Quando fu pretesa la restituzione di quei soldi, il cardinale Paul Marcinkus (denominato “il banchiere di Dio”) si oppose. Sarebbero serviti, in parte, per finanziare Solidarnosc, il sindacato indipendente della Polonia. Da lì la vendetta. Altri parlarono di riti sessuali all’interno del mondo cattolico, con eminenze di spicco della chiesa, ai quali prese parte forzatamente la figlia del commesso del Vaticano, che rimase uccisa. Altri ancora privilegiarono la via del satanismo e in ultimo la teoria di un complotto nella rete dei pedofili. Pista Roberto Calvi, pista Mirella Gregori (altra ragazza scomparsa), pista Lupi Grigi: una scia internazionale o tutta interna? Niente di fatto, il nodo non si è mai sciolto. Il fratello della ragazza, Pietro Orlandi, non molla la presa. Tre anni fa è spuntato un flauto traverso: è lo strumento che la figlia del messo infilò nello zainetto prima di uscire di casa. Si tratta di un oggetto mai ritrovato, o di un flauto molto simile, risalente a quegli anni e prodotto dalla ditta “Rampone e Cazzani” di Milano, che un testimone ha fatto ritrovare. Sembrava un decisivo passo avanti. Al quarto giorno di pontificato, nel suo primo bagno di folla, Papa Bergoglio ha scambiato alcune parole con Pietro. “Emanuela… tu sei il fratello?”, esordì Jorge Bergoglio. “Sì”, risponde Pietro Orlandi. “Santità, volevo chiederle se mi può aiutare ad arrivare alla verità”. “La verità sta in cielo”, ha ammesso il pontefice. Quelle parole sono diventate un film di Roberto Faenza uscito nel 2016. Cosa si nasconde dietro l’imponente colonnato del Bernini che circonda Piazza San Pietro e le silenziose, labirintiche stanze del Vaticano? Il sagrato e l’entrata della basilica, gli emicicli di forma ellittica e la maestosità simbolica di questa architettura, affascinano quanto il segreto di una storia torbida, confusa tra ipotesi e interpretazioni che hanno coinvolto perfino la guerra fredda e la cortina di ferro che ha diviso l’Europa. La chiave di lettura da seguire sfuma di volta in volta. Scriveva Jules Renard nel Diario (1887/1910): “Il nostro sogno urta contro il mistero come la vespa contro un vetro. Meno pietoso dell’uomo, Dio non apre mai la finestra”.

Alessandro Moscè

 

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