BYE BYE BLUES E LA FALSA PROMESSA

Questa mattina leggendo “Il Resto del Carlino”, ho avuto la sensazione che l’Italia sia un paese sempre più pericolante, che all’inizio dell’anno ondeggia tra la disperazione soprattutto giovanile e la ricerca perduta della felicità. Un reportage sull’uso del Prozac, il famoso antidepressivo (nel 2017 è stato utilizzato da 40 milioni di persone al mondo) ci dimostra che il farmaco non è più curativo nei casi prescritti su ricetta, ma una sostanza a disposizione di chiunque, di chi non ne avrebbe bisogno, compresi i minorenni. A trent’anni da quando il Prozac fu messo in commercio, oggi è da ritenere anche una droga. La disperazione degli italiani fa sì che lo acquistino coloro che sono affetti da una vena di malinconia, da paure sessuali, dal desiderio inesausto di appagamento: bye bye blues, lo battezzarono nel 1988. Una promessa di gioia è stata traslata nell’abuso della pasticca e quindi dell’intendimento medico. L’italiano cerca una via di fuga come è successo con il fasullo metodo Stamina, il trattamento senza validità scientifica inventato da un comunicatore per combattere sindromi neurovegetative. Sofia, la ragazza che veniva curata dal millantatore Davide Vannoni, è morta. Il padre e la madre piangono la scomparsa della figlia e accusano il truffatore. Se la prendono con il servizio sanitario che abbandona gli invisibili. Invisibili: coloro che stanno male e che non sanno a chi affidarsi, che sperimentano malamente vie alternative, che credono ai santoni, agli pseudo scienziati, ai guaritori. Il metodo Hamer, il siero Bonifacio, il bicarbonato, la terapia Di Bella (in realtà riabilitata da Umberto Veronesi e forse a suo tempo sottoposta ad un sabotaggio) dimostrano che l’improvvisazione fa parte della nostra natura, come appellarsi al miracolo. La disperazione sta nell’allegria di una ragazza a cena con il fidanzato che posta su Facebook un anello avuto in regalo e dopo due ore si butta in mare. Una marocchina è stata trovata a pezzi, il corpo sezionato e gettato in un dirupo. La felicità sembra durare sempre meno, come la disperazione. Siamo agli eccessi, come se non potesse essere più sopportata la normalità giornaliera o la noia. La felicità è nell’istante? Un’illusione? Allora, perché non cercare l’attimo fuggente, anche se non dura? “L’unica cosa senza mistero è la felicità, perché si giustifica da sé”, scriveva Jorge Luis Borges nel suo Il manoscritto di Brodie (1970). Il punto è che la felicità si allontana tanto più pensiamo di poterla individuare e di poterla vivere. E’ un’ombra che scompare mentre ci segue, o che ci sta davanti, imprendibile. Qualcuno, nella storia, pensava che fosse assimilabile al concetto di beatitudine, ma nel 2018 il termine è completamente estromesso dal nostro vocabolario. E’ uno stato di soddisfazione, di gaudio? Non lo sappiamo più. Tra gli uomini prevale lo scontro, il dissidio, l’alterazione, l’incomprensione espansa sui social. Quindi la rassegnazione. Si tende a depennare l’avvenire che ci assedia, che ci spaventa. O a ricorrere agli oroscopi, ai quali nessuno dice di credere, ma che tutti leggono accuratamente. E oggi la felicità è più appannaggio del corpo che della mente. Per questo si fa ingannatrice, bugiarda, solo visiva e provvisoria. Forse aveva ragione Italo Svevo. La coscienza di Zeno si conclude con la profezia della scomparsa dell’uomo sulla terra. Un’esplosione che eliminerà ogni sentimento nello stesso istante in cui ci renderemo conto che non saremo più nulla, neanche una coscienza. Per adesso ci salva un gesto simbolico, splendido, che per molti è solo l’imbrattamento di un maleducato. Uno come tanti: la scritta sul muro di un cimitero che ho visto qualche giorno fa mentre passavo in auto dalle parti di Jesi. Ho sorriso con tutta la mia benevolenza. “Ti va di essere felici insieme?”. Era questo l’interrogativo. E queste parole vogliamo che siano il benvenuto al 2018. La richiesta di un adolescente, solenne e pura.

Alessandro Moscè

 

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