IL DRENAGGIO DEI CERVELLI

Ha ragione Ferdinando Giugliano, che domenica scorsa, su “Repubblica”, ha affermato a chiare note che l’Italia non è un paese per giovani. Il problema non sarebbe imputabile alla volontà del governo, ma alla gerontocrazia diffusa. Negli ultimi venti anni l’unico aumento della disuguaglianza dei redditi è stato quello tra giovani e anziani, non quello tra ricchi e poveri. Gli anziani hanno visto il loro reddito salire quasi del 20%. Per la fascia tra i 19 e i 34 anni il calo è stato di oltre il 10%. Ilvo Diamanti, sempre su “Repubblica”, invita i giovani laureati a non tornare. Se ne vanno perché in Italia non ci sono possibilità professionali. Non c’è la ricerca, non c’è uno sbocco conforme al titolo di studio. Emigrano 100 mila italiani l’anno. Negli anni Novanta erano 30 mila. Tre su quattro hanno un titolo di studio. Vanno in Svizzera, in Germania, nel Regno Unito, in Francia, negli Stati Uniti. Il drenaggio dei cervelli sta a significare una preparazione superiore all’offerta. In Italia l’istruzione terziaria è pari al 24,9%, in Europa al 38,5%. Siamo di gran lunga sotto la media. Le università a numero chiuso non facilitano l’accesso allo studio, eppure il Paese avrebbe bisogno di cervelli che rimangano. L’Italia è invasa dell’emigrazione, non da soggetti utili ad uno scopo. E’ sconfortante quanto dichiara Carolina Brandi del Cnr su più mezzi di infromazione: “Può accadere che un ricercatore ritenga opportuno lasciare il proprio Paese per lavorare in un’istituzione straniera nella quale abbia maggiori possibilità di ottenere risultati. Invece, se l’emigrazione è dovuta al fatto che in Italia i ricercatori non riescono a trovare un lavoro adatto alla propria qualificazione, che non hanno risorse adeguate per i propri progetti, né possibilità di carriera, allora questi flussi migratori non sono più equilibrati. Il fenomeno è stato riconosciuto nei primi anni Sessanta dalla Royal Society inglese e definito brain drain (drenaggio dei cervelli). Questo termine è poi stato tradotto in italiano come fuga dei cervelli”. Si ha l’impressione che venga privilegiata una tendenza di stampo politico, intesa in senso lato. Vale a dire il mantenimento di posizioni di rendita contro le reali esigenze. La meritocrazia è un miraggio, come la competenza e la professionalità, che non vengono considerate risorse indispensabili. Spesso chi è preparato risulta un pericolo, perché eretico rispetto alla società massificata e stereotipata sulla quale si reggono la corruzione e il privilegio. Mafia Capitale insegna, a Roma come altrove. Un concorso pubblico non ha mai lineamenti chiari ed è costruito appositamente per chi lo vincerà. Ma è una vecchia storia. Concludiamo, come al solito, con una frase sintomatica: stavolta ce la offre Arthur Schopenhauer. “La conseguenza più ovvia del fatto che un merito eminente emerga è che tutti quanti i concorrenti, che ne rimangono profondamente offesi, come gli uccelli dalla coda del pavone, cadono in un silenzio profondo e così unanime da sembrare che vi sia stata un’intesa fra loro. Hanno tutti la lingua paralizzata”.

Alessandro Moscè

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