Il voto: questo assillo degli italiani, nel bene e nel male. Il voto che ha cambiato un Paese da democratico a fascista, da monarchico a repubblicano. Il voto della prima, della seconda e della terza repubblica (quest’ultima, forse, non è mai iniziata). Il voto è anche nel risvolto dell’astensionismo, del dissenso manifestato nel modo più distaccato: l’indifferenza, il diniego a concedere una preferenza, a voler entrare attivamente nella gestione della cosa pubblica facendo valere un diritto. L’astensionismo è repulsione, menefreghismo. Il giornalista Massimo Fini, acuto osservatore, nel 2004 scrisse un libro dal titolo Sudditi, in cui ribadiva un concetto ripreso più volte: “Ad ogni tornata elettorale c’è un solo sconfitto sicuro, che non è la fazione che l’ha perduta, ma proprio quel popolo festante insieme a quell’altro che è rimasto a casa a masticare amaro per le stesse irragionevoli ragioni per cui l’altro è sceso in piazza”. La contrapposizione è tra chi vota e non vota, sempre di più. Il partito dell’astensionismo sale e raggiunge il 40%, rappresentato da chi è convinto che le cose non cambieranno. Marco Tarquinio, direttore del quotidiano “Avvenire”, giorni fa parlava di sfarinatura. E’ appunto quella dei non votanti che hanno ragioni plausibili sulle quali riflettere. Ora siamo al punto che non si protesta neppure, si girano i tacchi. I voti si pesano facilmente, molto meno i non voti. Disillusione, speranza e convinzione: sono questi i tre partiti che rimangono in piedi. Se l’indifferenza, con la perdita della concezione della polis è uno dei fattori per comprendere a pieno l’astensionismo passivo, lo scoramento generato dalla corruzione della politica e la fine delle ideologie hanno omogeneizzato i partiti, per cui le differenze appaiono ormai più lessicali che sostanziali, citando Giovanna Baer. Non c’è più identità politica incontrovertibile, non c’è più una massa cattolica o comunista. Quindi non c’è più voto. Inoltre non c’è più lavoro. La sfarinatura è l’emblema del “non più”. Chi vive nell’indigenza non ha assolutamente voglia di recarsi nella claustrofobica cabina elettorale. Il Paese è povero, non solo di voti. Se crescerà l’economia crescerà la politica. Ma quanto sono legati i due fattori? Si può dire che se crescerà la politica crescerà l’economia? Qualcuno pensa che ci salveranno i cinesi. Per ora, questo fenomeno, è avvenuto solo nel calcio. La propaganda dell’austerity ha fallito, come la delocalizzazione e l’internazionalizzazione. Come Le banche e come finanza. La sfarinatura è ovunque, da dieci anni. Incorporea e compatta.
Alessandro Moscè