Una volta esistevano i maestri del pensiero riconosciuti unanimamente come tali, mentre oggi, in una società liquida e interscambiabile, dove la cultura è considerata con sospetto perché non livella in basso ma dovrebbe selezionare le persone, spesso i comici sono gli epigoni degli intellettuali riguardo eventi sociali, politici, economici e culturali, quando si illustra l’attualità con i suoi cambiamenti in corso. Berlusconi faceva l’animatore nelle navi, inventava barzellette, cantava e faceva ridere. Grillo è stato un comico, come lo sono Benigni e Crozza. Ebbene, sul referendum costituzionale del 4 dicembre, chi ha assunto il ruolo del pensatore che guida e ispira, in questi giorni? Un costituzionalista con una cattedra universitaria? Un padre nobile della nostra Costituzione? Un sociologo di punta? No, Benigni e Crozza. Uno è per il sì e l’altro per il no. Assurgono a maître à penser che orientano e influenzano come fossero maestri delle arti di quelle corporazioni del passato, oppure Montanelli e Bocca, per restare al giornalismo del passato prossimo. Sull’atomica, negli anni Ottanta, si esprimeva Alberto Moravia, e lo si stava a sentire con rispetto. Oggi i riflettori sono puntati su Crozza e sui suoi monologhi. Il comico ha prestigio anche se non fa il comico. Qualunque cosa dica è saggia, con una parvenza di esattezza. Nel regno della soggettività uno vale uno. Siamo in un congegno democratico orizzontale dove l’ironia è il mezzo migliore per scardinare il presente, per affascinarlo e inglobarlo dentro una premessa che diventa giudizio immediatamente fondato. Nulla si misura più, ma si dice davanti ai teleschermi, si ammonisce con un tono disincantato. Il concetto perde di specificità, è appannaggio di chiunque, a sua volta, sia capace di farsi epigono dell’epigono. Tutto ciò che è complesso va perfino demonizzato nel semplicismo. Chi può farlo meglio di un Roberto Benigni, geniale interprete del cinema italiano e internazionale, ma temo molto meno efficace nell’intuizione sul bene e sul male della vita costituzionale del Paese? Il pensatore analitico ha uno spirito di osservazione qualunque, insomma, da uomo della strada. L’italianologo sa tutto e non sa niente. Trita le parole come masticasse la carne. Ritorno a Moravia, al suo appello sul nucleare al Parlamento Europeo. Non diceva semplicemente che il sì sarebbe stato l’equivalente della Brexit, ma leggeva, studiava, chiedeva, interpretava, pensava e ripensava come il tedesco Ernst Jünger, uno dei più lucidi e razionali analisti della modernità. La battaglia di Moravia era all’insegna della protezione dell’ambiente, in favore delle energie alternative, contro le armi di distruzione e contro certi limiti di sviluppo di tipo tecnologico e scientifico, nonché contro la prospettiva di un’autodistruzione collettiva. Benigni e Crozza per cosa si battono? Per un traguardo comune agli italiani, o per vestirsi, ancora una volta in epigoni di se stessi? Per l’uso corretto del sistema democratico o per la spettacolarizzazione dei fenomeni di massa, come la chiamata alle urne? Non basta essere un buon diavolo per essere anche un pedagogo. Ma la blasfemia italiana è nella dissipazione dei ruoli prima ancora che della perdita di identità nazionale, se mai sia esistita.
Alessandro Moscè