UNA PAURA REALE E ANCESTRALE

La paura ancestrale della malattia è tanto più esplosiva quanto più nasce da un’epidemia, da una diffusione rapida come succedeva una volta. Un secolo fa la spagnola, una pandemia influenzale, uccise milioni di persone nel mondo e i nostri nonni la raccontavano come la calamità naturale del terremoto, perché furono orfani di un vaccino e dunque di un’immunità collettiva. Oggi un fatto sociale pericoloso per la salute lega gli abitanti di una zona geografica che viene isolata, per quanto possibile, trasmettendo un senso di claustrofobia in chi vive tra le case di Lodi, Castiglione d’Adda e Casalpusterlengo. Dopo aver appreso che anche in Italia c’è chi ha contratto il Coronavirus e che il 21 febbraio si è registrato il primo morto nell’ospedale di Padova e un secondo in Lombardia il giorno dopo, il dilagare dell’ipocondria contagiosa assomiglia alla stessa propagazione dell’influenza killer. Qualcosa di invisibile, di inarrestabile è annidato alle pareti, ai mobili, agli utensili. Vola nell’aria indisturbato e malvagio come l’uomo mascherato, rende l’altro un pericolo se solo emana un colpo di tosse, se ha qualche linea di febbre. La Cina è lontana, eppure mai così vicina non solo per gli effetti della globalizzazione. Ieri, ad un incontro pubblico nelle Marche, una signora ha detto di essersi recata in farmacia per acquistare una mascherina. Un’altra ha disdetto un viaggio di piacere a Roma con i figli e non ha intenzione di muoversi da casa. La mappatura dell’Italia, adesso, avviene per contagi e per aree di circolazione del virus. Codogno come Orano, la cittadina mercantile francese del romanzo di Camus, La peste, che inizia con una moria di ratti e prosegue nell’avvisaglia della febbre alta, dei rigonfiamenti all’inguine e alle ascelle, nell’agonia che annientò una buona parte della popolazione. Parigi, nel libro, viene chiusa da un cordone di medici e sanitari affinché nessuno entri od esca dal perimetro delineato. C’è chi si barrica in casa e chi va a teatro. Qualcuno rimane indifferente al male, convinto che non sarà colpito dalla sciagura. Il fenomeno di questi giorni ci spinge a pensare che l’uomo è debole e soccombe di fronte alla natura matrigna. Ciò che non si può evitare e che non si gestisce facilmente ci riduce ad uno stato animale, alla stessa stregua della cavia che sfugge all’assalto del predatore finché ci riesce. Sarà più forte l’uomo o il suo attentatore? Quando il carnefice cederà e si dichiarerà pubblicamente sconfitto? La mia generazione è cresciuta nell’edonismo, nel culto della persona, nella ricchezza economica senza che ci fossero guerre. Tutto sembrava conquistabile e dominabile, caduta l’ideologia comunista. Il cosiddetto modernismo è stato un successo progressivo anche nella medicina, per cui tornare indietro, sentirsi individualmente vulnerabili, ci lascia sbigottiti. Di un virus che può uccidere, in Italia, lo si leggeva solo nei fumetti, nei libri di fantascienza, fino all’arrivo della Sars. La realtà sembra quella manzoniana dei Promessi Sposi, quando fu istituito un Tribunale della Sanità, scongiurando un assembramento per il timore dei contagi mortali. “Era in quel giorno morta di peste, tra gli altri, un’intera famiglia. Nell’ora del maggior concorso, in mezzo alle carrozze, i cadaveri di quella famiglia furono, d’ordine della Sanità, condotti al cimitero suddetto, su un carro, ignudi, affinché la folla potesse vedere in essi il marchio manifesto della pestilenza. Un grido di ribrezzo, di terrore, s’alzava per tutto dove passava il carro; un lungo mormorìo regnava dove era passato; un altro mormorìo lo precorreva. La peste fu più creduta: ma del resto andava acquistandosi fede da sé, ogni giorno di più; e quella riunione medesima non dové servir poco a propagarla”. Nel 2020, iniziata l’era del post-modernismo e della post-verità, l’uomo non è più padrone del mondo, tanto che la preoccupazione reale e il panico incontrollabile arrestano il paese e lo costringono alle quarantene, ai controlli, ai ricoveri ospedalieri, al blocco dei traffici. “Arrivare ad non avere più paura, questa è la meta ultima dell’uomo”, diceva Italo Calvino, sapendo di invocare una speranza utopica. Al microscopio il Coronavirus è composto da chiodini appuntiti, rossi, che circondano la superficie esterna conferendole l’aspetto di una ghirlanda. Una morfologia che, se vista da un’altra angolazione, ricorda una strana arma punitiva: contro la sorte considerata erroneamente addomesticabile, contro ogni idea di perfezione.

Alessandro Moscè

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