IL TRIVIALE JAIR BOLSONARO

Il nuovo presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, ha vinto le elezioni con il 56% di preferenze sull’avversario, l’erede politico di Lula. Aveva dichiarato, negli anni, la sua avversità contro la popolazione nera, seppure il paese abbia una rappresentanza di colore elevatissima. Ha spesso pronunciato frasi razziste e volgari. E’ un uomo di estrema destra che riesce ad ottenere consenso anche tra i neri, non solo tra i bianchi e la piccola e media borghesia, nonché tra gli imprenditori. Si batte contro la criminalità e la corruzione e ha dei collaboratori con ruoli propriamente militari. Tra le sue esternazioni più sorprendenti ce n’è una in cui ha detto: “Sono favorevole alla dittatura e alla guerra civile”. Ha espresso pareri negativi sulle donne e sugli omosessuali. Non è una diceria, perché il materiale può essere rintracciabile ovunque, con tanto di citazione attendibile da riviste e giornali. Jair Bolsonaro arriverebbe a far rilasciare una licenza per uccidere in caso di pericolo per l’incolumità della persona. Ha vinto facendo breccia anche su chi, apparentemente, dovrebbe essergli ostile. Resta da capire che cosa abbia indotto un successo così netto e imprevisto. Non basta menzionare la crisi del Brasile che va dalla povertà all’occupazione, all’inflazione, al debito pubblico. C’è una motivazione più profonda e che viene sottovalutata ogni volta che ci sono le elezioni, ovunque: il bisogno innato delle persone di avere garantita la sicurezza e l’idea che oggi la società sia violenta come non lo è stata tra le generazioni precedenti. Dallo Stato i cittadini chiedono protezione contro ricattatori, truffatori, ladri, spacciatori, assassini. Nel suo discorso alla platea, l’ultimo prima del voto, Jair Bolsonaro è stato applaudito a più riprese quando ha alzato la voce per sancire come in un codice privato: “La gentaglia, se vuol restare qui, dovrà sottoporsi alla legge di noi tutti. Sennò va in galera, o fuori dal Brasile. I delinquenti saranno cacciati dalla nostra patria”. La sicurezza, dicevamo. Thomas Hobbes, nel Seicento, riconosceva che senza il rispetto dei patti non è possibile alcuna industria, perché il suo frutto è incerto, e quindi non c’è agricoltura, né navigazione, né calcolo della superficie terrestre, né del tempo. Non c’è arte, non c’è società. L’uomo sarebbe “sordido e bestiale”. E’ evidente che quando aumenta la richiesta di sicurezza della popolazione (anche nel mondo del lavoro e non solo nel privato) la destra sia facilitata, specie sul piano dell’irrogazione, della certezza della pena e sul fenomeno migratorio incontrollato. L’elettorato non risponde più a logiche di buon senso, a programmi “politicamente corretti”, ad intese su scala internazionale, ma è tornato a misurare l’altro attraverso percezioni ancestrali mai superate. La personalizzazione del senso dello Stato allontana da tutto ciò che non è a portata di mano, come la finanza, la globalizzazione, la politica unitaria che scavalca il confine del proprio Stato. Il principio sovranista si fonda dunque sulla sicurezza dell’individuo, che oggi è diventata un veicolo straordinario per vincere le elezioni in molti stati anche europei. Un appello al Brasile, quello di Bolsonaro, che evidentemente non ha lasciato indifferenti i padri di famiglia, gli operatori sociali, gli insegnanti, i pensionati, le forze dell’ordine, nonostante un linguaggio oltremodo grossolano e triviale. “La volgarità di un’idea si misura dal suo bisogno di proselitismo”, ha scritto il saggista Mario Andrea Rigoni in Variazioni sull’impossibile (1993). Nessuna verità sembra più pertinente.

Alessandro Moscè

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