SUSANNA TAMARO NON PIACE AGLI ACCADEMICI

Ogni volta che esce un libro di Susanna Tamaro ci si chiede perché questa scrittrice sia tanto amata quanto bistrattata specie dalla critica accademica, da chi evidentemente non sopporta un linguaggio affettuoso, tenero, commovente, a volte straniante. La risposta, stavolta, ce la offre Susanna Tamaro stessa nel suo Il tuo sguardo illumina il mondo (Solferino 2018). Non è un romanzo, ma una lunga lettera scritta con quella predisposizione di chi affronta le prove più difficili dell’esistenza, compresa l’accidia, quando tutto può sembrare ostile e sconosciuto. Susanna Tamaro ammette pubblicamente, per la prima volta, di avere la sindrome di Asperger, la sua “invisibile sedia a rotelle”, mentre si rivolge a Pierluigi Cappello, poeta da poco deceduto, che era costretto a viverci sulla sedia a rotelle in seguito ad un incidente motociclistico. I due erano amici, si capivano, si sentivano al telefono, si incontravano e parlavano (il tassello mancante che colmava una parte dell’anima dell’altro). Cosa dice di urticante Susanna Tamaro? Che nella nostra contemporaneità sono bandite le parole cuore e sentimento. Come darle torto? Lei le usa e non le viene perdonato. Quando la vita procede attraverso la consumazione non solo del cibo ma anche delle persone, la sfera affettiva fa paura: non è gestibile e può far soffrire. Il tono del libro è leggero, sfumato nel linguaggio che abbraccia e splende, che vibra di pathos, estraneo ad un confessione razionale e ad un’interpretazione immutabile. Susanna Tamaro si sente spesso fuori posto, preferisce il contatto con gli essere vegetali e animali invece che con l’uomo, cercando un ordine che ci precede e che prescinde da noi. Il cuore è la grande condanna del nostro tempo: la scrittrice  lo proferisce come un atto d’accusa, arrivando ad ipotizzare che gran parte delle persone rinchiuse nei manicomi erano lese nel bisogno di amare e di essere amate. Con disinvoltura disturba il lettore più erudito quando afferma che le amicizie si coltivano e i rapporti si consumano. C’è chi storce la bocca se sente parlare di “attenzione paziente e amorosa verso l’altro”. Susanna Tamaro fa luce sul disagio, non solo il suo, se sottolinea che ciò che separa l’uomo dalle scimmie antropomorfe è il considerare l’altro un oggetto puro e semplice. Comprabile e sostituibile, rottamabile. La lacerazione umana è sopraffatta dai luoghi naturali, dal bosco, dai papiri, dai salici, dallo smarrimento di fronte al buio in attesa della luce accesa del giorno. Susanna Tamaro cerca l’essenziale: fuoco, pietra, acqua e neve. Il suo eremitaggio è in un desiderio primordiale e non di possesso delle cose. Si sente serra e non prato. Non ama la socialità. Per qualcuno è troppo pesante il suo gesto d’accusa, perché fuoriesce dalle parole significative, si fa esempio, condotta, scelta per un possibile altrove, dove non arrivano i riflettori. La sensibilità è un peso, come le facce e come i rumori. Nell’epoca dell’ipertrofia dell’io e del principio di autoaffermazione, come può essere compreso chi non ama dormire in albergo o prendere un aereo? Lo scetticismo di Susanna Tamaro non conosce neppure l’ironia. L’ascolto del sottomondo è un segno amabile per lei e per i suoi insetti, ma per molti letterati nient’altro che un sigillo retorico. Come lo studio spartano, il minuscolo scrittoio e una stufa a legno nella casa tra i castagni e le querce. Per usare una sua stessa affermazione, lo sguardo che illumina il mondo è una scintilla che incendia la terra. I suoi libri hanno venduto milioni di copie e sono tradotti in tutto il mondo. La gente la ama e la segue, anche se lei non si vede quasi mai.

Alessandro Moscè

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